skip to Main Content

Intel

Intel, Micron e non solo: tutti gli investimenti nei microchip in Malesia

La Malesia, ribattezzata "Silicon Valley dell'Oriente", è la grande vincitrice della guerra tecnologica tra Stati Uniti e Cina.

C’è un vincitore inatteso, ma forse poi non così tanto, della guerra fredda tecnologica tra Usa e Cina: la Malesia. Ecco cosa scrive il Financial Times sul gran fermento industriale che si registra in quella che già mezzo secolo fa era chiamata “la Silicon Valley dell’Oriente” dove ci sono tutti i grandi, da Intel a Micron fino agli stessi cinesi di Fengshi.

Una chance

Il popoloso Paese asiatico e islamico ha ora una chance storica di fare tesoro di quasi mezzo secolo di attività industriali nel campo dei semiconduttori e in particolare del loro assemblaggio e test, che la vedono ora puntare a ritagliarsi una buona fetta di un comparto che globalmente vale 520 miliardi di dollari.

Tutti al Nord

Fengshi è solo una delle decine di società che si sono insediate nel Nord del Paese insieme ai giganti dei chip made in Usa come Micron e Intel e gli europei di AMS Osram e Infineon. Ma ci sono anche i coreani, i giapponesi, “e tutto – spiega al Ft l’executive di Kemikon – è collegato alla guerra tech tra Usa e Cina”.

Il solo Stato settentrionale di Penang ha attivato l’anno scorso 12.8 miliardi di investimenti esteri diretti, più di quelli atterrati lì tra il 2013 e il 2020.

L’obiettivo del governo della Malesia

Sviluppare ulteriormente l’industria dei semiconduttori è ormai un “obiettivo cruciale” della Malesia, come ha detto al quotidiano il Primo ministro Anwar Ibrahim.

“La diversificazione delle catene produttive dalla Cina resta il focus prioritario per le compagnie”, commenta Gautan Puntambekar di Bank of America per il quale Penang “è in questo momento uno dei posti più interessanti dell’Asia”.

Stiamo parlando di quel territorio che mezzo secolo fa fu battezzato “la Silicon Valley dell’Oriente” grazie alla presenza non solo di Intel ma anche di AMD e di quelle che all’epoca si chiamavano Hitachi e Hewlett-Packard.

Quote record del mercato globale

Ma da allora molta acqua è passata sotto i ponti della Malesia che è oggi il sesto esportatore mondiale di semiconduttori e controlla il 13% del settore del packaging, dell’assemblaggio e dei test degli stessi chip.

Ma da questo stesso Paese ha origine anche il 20% delle importazioni annue dell’America di semiconduttori, una quota superiore a quella che viene da Taiwan, dal Giappone e dalla Corea del Sud.

Nuovi investimenti

Intel, che è il più grande produttore al mondo di chip, ha appena investito 7 miliardi per nuovi impianti in Malesia incluso uno sperimentale dedicato al packaging in 3D che sarà completato alla fine dell’anno.

Ma anche Micron l’anno scorso ha aperto un secondo stabilimento a Penang, dove Infineon ha un piano di espansione da 5,4 miliardi che comprende la costruzione del più grande sito produttivo per quei chip al carburo ricercatissimi dai produttori di auto elettriche.

Riflessi

Questo gran fermento si è riflesso in un aumento dal 2002 di oltre il 60% del prezzo dei terreni industriali, mentre quello dei terreni per l’edilizia privata ha avuto una crescita l’anno scorso che è stata seconda solo a quella di Singapore.

E c’è poi un altro indicatore eloquente che è il traffico con i suoi ingorghi pazzeschi.

Problemi

Adesso però la Malesia deve risolvere i suoi problemi e in particolare quello del deficit di manodopera specializzata perché questo settore in espansione richiede almeno 50.000 nuovi ingegneri e le università ne sfornano solo 5.000 ogni anno, molti dei quali peraltro emigrano a Singapore dove sono pagati meglio.

Intrecci pericolosi

Ma in Malesia, va ricordato, ci sono anche i cinesi, sbarcati in gran numero qui dopo che i dazi di Trump aggravati da Biden li hanno costretti a cercare una soluzione malese per aggirare quelle restrizioni. Le società del Dragone sono passate da 16 a 52 negli ultimi anni segnato dall’acuirsi delle tensioni geopolitiche con gli Usa.

Ma in Malesia cinesi e americani addirittura collaborano come fanno a Penang quelli di TongFu Microelectronics il cui stabilimento è stato appena espanso in partnership con AMD.

Ma questa potrebbe diventare presto un’eccezione visto che i parlamentari Usa hanno messo nel mirino la collaborazione tra alcune società americane e i cinesi di RISC-V specializzati in tecnologia open source.

Il ministro malese del Commercio Zafrul sa bene però che “ulteriori restrizioni” da parte degli Usa potrebbero rivelarsi controproducenti alla luce della significativa presenza di compagnie Usa in Malesia.

Il ministro non dorme

Ma non è solo questo a turbare il sonno del ministro il cui maggior timore è che il suo Paese possa esser scalzato da quei vicini di Vietnam e India che stanno costruendo e irrobustendo la propria industria dei chip con incentivi a pioggia e una forza lavoro non solo più numerosa ma anche meglio formata.

Ma Zafrul si dice “ottimista che attrarremo più di una” compagnia dei semiconduttori alla ricerca di una soluzione ai problemi geopolitici di questo tempo.

Back To Top