Fratelli e sorelle d’Italia, lanciati al seguito di Giorgia Meloni verso il traguardo elettorale del 9 giugno con buone probabilità di tagliarlo da vincitori a livello nazionale, non sono evidentemente scaramantici. Hanno sfidato e stanno sfidando anche la sorte, essendo solido l’elenco delle vittime, paradossalmente, delle vittorie in questo tipo di elezioni.
IIl Pci dell’Enrico Berlinguer appena scomparso nel giugno del 1984, favorito anche dall’emozione popolare provocata da quella morte del leader sul campo, colto da ictus durante un comizio, sorpassò la Dc, sia pure di poco, anzi pochissimo. L’una si fermò al 32,9 e l’altro salì al 33,3 per cento dei voti. Ma non più tardi dell’anno dopo, sotto la guida di Alessandro Natta che ne aveva ereditato anche il proposito di sfidare il governo di Bettino Craxi sulla strada di un referendum contro i tagli anti-inflazionistici alla scala mobile dei salari, perse rovinosamente. Quasi come nel 1974 era accaduto alla Dc guidata da Amintore Fanfani nel referendum contro il divorzio.
Silvio Berlusconi con la sua Forza Italia vinse nel 1994 le elezioni europee salendo in pochi mesi dal 20 per cento e rotti delle politiche di marzo al 30 per cento di giugno. Ma creò un tale panico nell’alleata Lega di Umberto Bossi – scesa dall’8 e rotti per cento al 6,5 – da subirne l’abbandono e la conseguente crisi di governo. Che fu aperta con la garanzia data al “senatur” dal presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro che non avrebbe pagato lo scotto di elezioni immediatamente anticipate. Esse sarebbero arrivate l’anno dopo, quando la sinistra sotto l’Ulivo si era attrezzata con Romano Prodi per una rivincita.
Una ventina d’anni dopo ancora Matteo Renzi, fresco di conquista della segreteria del Pd e della presidenza del Consiglio, ai danni di un Enrico Letta illusosi della serenità promessagli dall’allora amico, superò addirittura il 40 per cento dei voti nelle europee. Ma meno di due anni dopo sarebbe rimasto con le pezze al sedere, sconfitto prima nel referendum sulla sua riforma costituzionale e poi nella scissione del partito promossa da Pier Luigi Bersani, Massimo D’Alema e Roberto Speranza, in ordine rigorosamente alfabetico. Seguì naturalmente la sconfitta nelle elezioni ordinarie del 2018: quelle della vittoria delle 5 Stelle grilline, arrivate addirittura alla guida del governo con l’allora quasi sconosciuto ma orgogliosamente “avvocato del popolo” Giuseppe Conte.
L’anno dopo ancora la Lega guidata da Matteo Salvini, e autorizzata dall’ancora alleato elettorale Berlusconi a sperimentare la collaborazione di governo con i grillini, sbaragliò tutti nelle europee col 34,26 per cento dei voti. Proprio tutti: da Berlusconi a Grillo. E, inebriato da quella vittoria più che dagli aperitivi del Papeete contati dai cronisti sulle spiagge romagnole, “il capitano” promosse una crisi di governo. Che però lo avrebbe portato non alle elezioni anticipate, accarezzate inutilmente come da Berlusconi quando era caduto per mano di Bossi, ma al suo passaggio all’opposizione, E alla nascita del secondo governo Conte, che lui – sempre Salvini – non aveva messo nel conto fidandosi dell’impegno pubblicamente preso dall’allora segretario del Pd Nicola Zingaretti di non muoversi dall’opposizione senza un passaggio elettorale.
Quell’impegno fu tradito dal fratello del commissario Montalbano con il consenso, anzi sotto la spinta di un Renzi ancora per poco nel Pd, da cui sarebbe uscito ad operazione compiuta per meglio sabotare dall’interno il nuovo governo lungo la strada. Che fu breve, essendo il Conte numero 2 durato faticosamente per meno di un anno e mezzo, sostituito da Sergio Mattarella con Mario Draghi avvertito un po’ dal premier uscente come un carro attrezzi.
È tutta non dico storia, anche se siamo partiti dal lontano 1984, cioè dal secolo scorso, ma cronaca incontrovertibile. Che fratelli e sorelle d’Italia – ripeto – baldanzosamente guidati da Giorgia, il cui nome deve bastare ed avanzare per essere votata, anzi plebiscitata, stanno coraggiosamente sfidando, bisogna a questo punto ammettere. “Audentes fortuna iuvat”, dicevano i latini.