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Conte

I fatui dibattiti che avviluppano M5s, Lega e Fratelli d’Italia

Cronache minori dei partiti italiani - in primis il Movimento 5 Stelle ma non solo - in un mondo sottosopra. I Graffi di Damato

In un mondo dove la Corte Internazionale dell’Aja, a costo di ridursi a un cortile, spicca un mandato di cattura contro il presidente israeliano Netanyau equiparandolo come criminale a chi ne vuole cancellare lo Stato e sterminare gli ebrei riprendendo l’operazione di Hitler interrotta dalla sua sconfitta; in un’Europa dove alla paura di Putin da più di mille giorni in guerra contro l’Ucraina si è aggiunta paradossalmente la paura di Trump per ciò che vorrà fare davvero dopo il ritorno alla Casa Bianca, oltre alla già annunciata guerra dei dazi agli alleati degli Stati Uniti; in un’Italia chiamata alla “rivolta sociale”, come ad una scampagnata, dal segretario del maggiore sindacato; fra tutti questi guai, può sembrare – e un po’ lo è in effetti – miserevole occuparsi delle vicende interne dei partiti di casa nostra. Ma tocca farlo, magari turandosi il naso come la buonanima di Indro Montanelli raccomandava agli elettori spingendoli a votare Dc per evitarne il sorpasso da parte del Pci.

I fratelli d’Italia di Giorgia Meloni stanno spendendo un po’ di energie discutendo della proposta del loro ministro Luca Ciriani, e non più dei soli avversari o critici, di togliere la fiamma di tradizioni ed eredità missine dal simbolo del partito.

I leghisti di Matteo Salvini, già alle prese con i problemi di un costante arretramento elettorale, debbono guardarsi dalla trasformazione del “comitato culturale” del generale ed eurodeputato Roberto Vannacci in “comitato politico” contro il “mondo al contrario”.

Quelli che dal 2013, dal loro arrivo in Parlamento per aprirlo coma “una scatola di tonno”, ci eravamo abituati a chiamare grillini dal nome del fondatore del loro MoVimento 5 Stelle stanno decidendo con le solite procedure digitali come chiamarsi nel loro ormai crollo elettorale sotto la guida di un Giuseppe Conte che sogna di essere ancora “il punto di riferimento più alto dei progressisti”. Cui lo aveva imprudentemente promosso a suo tempo il Pd di Nicola Zingaretti e Goffredo Bettini.

Nel tentativo digitale, ripeto, di rifondazione pentastellare si è appena introdotto Marco Travaglio proponendo a Conte e amici di chiamarsi sì progressisti, se proprio ci tengono, ma “indipendenti”. E ciò perché  -ha spiegato il direttore del Fatto Quotidiano in un editoriale di virtuale partecipazione al congresso digitale del movimento – la “sinistra” dove generalmente vengono collocati i progressisti “è un nobile concetto tradito e violentato da troppi abusivi per significare qualcosa”. Abusivi come quelli del Pd anche sotto la guida di Elly Schlein, succeduta ad Enrico Letta.

Eppure nello stesso numero del Fatto Quotidiano Gad Lerner ha assicurato il direttore ed amico Travaglio che quello votante per il Pd, appena risultato una decina di volte superiore all’elettorato delle 5 Stelle in Emilia-Romagna, “non è popolo bue che si piega alle elite”. Grande è la confusione sotto le stelle, diceva già Mao.

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