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Lorenzo Infantino

Lorenzo Infantino: un intellettuale, un gentiluomo, un liberale

Alessandro De Nicola ricorda Lorenzo Infantino, morto a Roma nella notte tra il 17 e il 18 gennaio. L’articolo pubblicato sul quotidiano La Ragione

 

Quando un giornale vuole ricordare una persona recentemente scomparsa dovrebbe affidare il compito a chi ne sia in grado di valutare vita e opere con un po’ di professionale distacco. Premetto subito che questo non è il mio caso nei confronti di Lorenzo Infantino, professore universitario e studioso del liberalismo, venuto improvvisamente a mancare nella notte tra il 17 e il 18 gennaio nella sua casa di Roma. Ero profondamente legato a Lorenzo di cui ero amico fraterno e che frequentavo da più di 30 anni e la sua morte mi ha atterrito, quindi il lettore perdoni la scarsa obiettività.

E forse è il caso, prima di parlare del suo contributo alla cultura italiana, di spiegare perché era facile volere bene ad Infantino. Si trattava della sua umanità: per lui non esistevano rapporti professionali, accademici, intellettuali che non fossero anche personali. Valori come la lealtà, sincerità, buona educazione (sì, stranamente in un’epoca volgarotta come la nostra, lui ci teneva moltissimo), modestia, venivano prima di ogni altra cosa. Un infingardo, un voltagabbana, un fanfarone, un maleducato non potevano far parte del suo mondo, soprattutto se prima aveva dato credito alla persona che poi non si era rivelata all’altezza. A volte era persino un po’ severo nella sua cernita, ma questo era parte della sua umanità, che era poi evidente nell’affetto e nella disponibilità dimostrati ai suoi amici. Un uomo esigente ma prezioso.

Infantino, nato a Gioia Tauro nel 1948, si era laureato in economia a Siena nel 1972 per poi specializzarsi in sociologia all’università LUISS Guido Carli di Roma dove cominciò ad insegnare nel 1983 e lì svolse l’intera sua carriera. Il suo percorso, iniziato al centro studi di Banca d’Italia, lo portò dall’economia alla sociologia fino alla filosofia, in particolare il suo insegnamento era la “Metodologia delle scienze sociali”, ma lo si sarebbe potuto definire un filosofo politico di interessi e conoscenze ampi, nel solco di colui che fu il suo faro intellettuale, Friedrich von Hayek. Molte delle sue ricerche si svolgevano ad Oxford, università ove passava lunghi periodi di studio e cui rimase sempre legatissimo.

È certo che il suo sodalizio intellettuale ed editoriale più profondo fu con la casa editrice Rubbettino, coraggioso esempio di imprenditoria meridionale, che soprattutto grazie all’ispirazione di Infantino pubblica da anni grandi classici dell’economia, traducendo e impreziosendo con introduzioni che sono quasi un volume a sé, autori come Hayek, Mises, Popper e Menger.

Il libro che rese noto lo studioso liberale fu certamente “L’ordine senza piano” di cui sta per uscire a brevissimo una seconda edizione che aveva appena finito di rivedere. In quel volume i temi classici sviluppati da Infantino sono già presenti: la società come ordine spontaneo e non creazione costruttivista della mente umana, la necessità della cooperazione volontaria tra gli individui, la conoscenza come processo di scoperta e la teoria della conoscenza come architrave delle scienze sociali. L’ultimo suo lavoro, recensito proprio su La Ragione, non a caso si intitolava “Conoscenza. Governo degli uomini e governo della legge”.

Infantino seguiva la politica con interesse ma non se ne fece mai attrarre come attività da svolgere in prima persona. Però si dedicava volentieri ad attività di divulgazione. Era il presidente della Fondazione Hayek, membro del comitato scientifico della Adam Smith Society ed è stato presidente onorario della Fondazione Einaudi.

Un intellettuale a tutto tondo, un docente amato dai suoi studenti, un gentiluomo. Ci mancherà moltissimo.

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