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Parlamento

Vi racconto l’insostenibile inconsistenza dei programmi elettorali su lavoro, fisco e non solo

Nell'attuale situazione economica e sociale a livello nazionale e internazionale in cui ci troviamo, l’inadeguatezza dei programmi dei partiti o delle coalizioni che si sfideranno il 25 settembre lascia a dir poco basiti. Ecco perché. L'articolo di Vincenzo Mattina

 

La lettura dei programmi dei partiti o delle coalizioni in competizione per la scadenza elettorale del 25 settembre lascia a dir poco basiti per l’inadeguatezza delle analisi sulla congiuntura economica e politica mondiale e per la improbabile praticabilità della maggior parte delle proposte propalate per uscire dai cicloni economici, bellici, climatici che vorticano sulla testa di noi tutti.

Nell’area del Centro-destra gli assi portanti sono:

  • la riduzione delle tasse dirette e indirette, quasi che il bilancio nazionale sia in perfetto equilibrio e, quindi, in condizione di poter fare a meno di consistenti entrate fiscali,
  • il rallentamento del processo di integrazione europea, privilegiando la condizione di area di libero scambio e considerando con simpatia gli esperimenti di democrazia illiberale già in atto in Ungheria e Polonia e ben visti anche dagli altri due Paesi del gruppo di Visegrad, Repubblica Ceca e Slovacchia,
  • la distribuzione di sussidi ad ampio raggio, un reddito di cittadinanza più articolato, ma sempre dissociato da obblighi individuali.

Ovviamente, tutta questa parte politica dichiara di voler rivedere il PNRR e ridiscuterne i contenuti a Bruxelles a colpi di sorrisi della Meloni, pugni sbattuti sui tavoli da Salvini, dosi di buonismo compensativo del grande vecchio Berlusconi. La ciliegina sulla torta è la revisione del trattato di Schengen, accompagnato dal blocco navale nel Mediterraneo, pratica bellica che si fa a colpi di cannonate contro nemici in guerra e non certo contro esseri umani disarmati e disperati.

Il cicchetto finale è il rilancio dell’energia nucleare cosiddetta pulita, che è stata esclusa dal referendum del giugno 2011 e che era e resta un’ipotesi impraticabile in un Paese come l’Italia ad alto rischio sismico.

La situazione non è diversa nel programma della coalizione guidata dal PD, che contiene tutto il desiderabile possibile, ma si sofferma ben poco sul come tradurlo in fatti. In aggiunta, pur confermando omaggi formali a Draghi, propone, per non essere da meno rispetto alla concorrenza elettorale, la sua dose di sussidi e di statalismo, mentre affronta in maniera del tutto opinabile questioni-chiave che dovrebbero qualificare la dichiarata vocazione progressista e riformatrice.

Questo campo stretto del riformismo politico afferma di voler promuovere e proteggere il lavoro, ma si illude di farlo identificando tout court come strumento idoneo solo il lavoro a tempo indeterminato, vale dire… a vita, mentre considera sempre e comunque un vulnus irreparabile ogni forma di apposizione di un termine ai rapporti di lavoro, non distinguendo tra lavoro a termine legale, rapporti attivati dalle Apl (Agenzie per il lavoro) a tempo determinato e indeterminato, precariato (in quanto retribuito a prestazione e non coperto da regole e tutele), lavoro nero, lavoro schiavistico.

Non c’è neanche un accenno nel capitolo del lavoro a quella che a livello europeo viene definita flexsecurity, che “la Commissione europea considera come una strategia capace di aumentare contemporaneamente flessibilità e sicurezza sul mercato del lavoro, il tutto grazie ad accordi contrattuali flessibili e affidabili, strategie di apprendimento permanente, politiche attive per il mercato del lavoro e moderni sistemi di welfare in grado di garantire un sostegno al reddito durante le transizioni occupazionali” (efficace rappresentazione ripresa tal quale da Wikipedia).

Bene! Dando merito alla Danimarca per aver introdotto l’innovazione, non si può ignorare che dal pacchetto Treu (L.196 del 24 giugno 1997) in avanti, la presenza di intermediari privati accreditati ha svolto un ruolo eccezionale nel processo di incontro tra domanda e offerta di lavoro.

Nell’arco temporale 1998-2022, negoziati sindacali innovativi e ricorrenti hanno costruito giorno dopo giorno un sistema di flexsecurity, che oggi è il più evoluto ed efficiente a livello europeo. Un’ora di lavoro somministrato da un’Agenzia ha un costo del 4,20% in più rispetto a quello fissato dai CCNL di categoria, dagli accordi aziendali e dalle leggi. A questo costo occorre aggiungere quello del servizio reso dall’Agenzia, che individua la persona adeguata alla specifica domanda avanzata da un’azienda o un Ente, la informa, la forma con corsi d’ingresso anche di centinaia di ore senza alcun costo per il committente, la riqualifica, ove lo richieda l’utilizzatore o qualora sia necessario per eventuali passaggi in diversi contesi lavorativi.

I numeri parlano da soli: nel 2021 le Apl hanno assunto 105.512 persone a tempo indeterminato, 369.854 a tempo determinato. EBITEMP, l’ente bilaterale che assicura prestazioni ai lavoratori in somministrazione, nello stesso periodo ha esaminato 1.800 pratiche per sostegno ai costi degli asilo nido per un totale di € 400.000,00; 5.000 pratiche per acquisto libri scolastici per una spesa di € 980.000,00; 1.550 pratiche per maternità, erogando € 300.000,00. Nello stesso arco temporale 2.000 persone hanno fruito di incentivi assunzionali per € 786.000,00; integrazioni per infortuni in aggiunta alla copertura INAIL per € 1.000.000,00; piccoli prestiti per € 5.500.000,00; contributi rette universitarie per € 32.000,00; sostegno disabili per € 423.000,00; sostegno trasporti extraurbani per € 570.000,00; tutela sanitaria per € 3.500.000,00; integrazione alla previdenza complementare per € 911.000,00.

A completamento dell’informazione aggiungo che l’Ente bilaterale FORMATEMP ha finanziato sempre nel 2021 60.627 corsi, cui hanno partecipato 312.753 allievi per un valore economico di € 234.636.189,00.

In sintesi, la flessibilità lavorativa tutelata dalla legge e, soprattutto, regolata dalla negoziazione collettiva rappresenta una vera e strutturata strategia di impiego che sostiene costantemente il sapere e il saper fare e che, con i mezzi generati dal suo stesso sviluppo, fa fronte ai passaggi innovativi delle tecnologie e alle varianze dei mercati; il tutto senza mai ricevere un euro da parte dello Stato o delle Regioni o dell’UE.

Sempre in materia di lavoro, “il campo stretto di centro-sinistra”, non affronta il tema della partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese, dimentico che fin dagli albori il sindacalismo italiano si è battuto non solo per i salari e i diritti, ma per umanizzare l’organizzazione del lavoro, misurandosi, nei vari passaggi delle prime tre rivoluzioni industriali, con le sue rigidità che sottoponevano l’uomo a procedure rigide e spersonalizzanti.

Come fa quest’area politica che si dichiara erede del riformismo socialista e cattolico a non rendersi conto che la dinamica e la pervasività della IV rivoluzione industriale, quella del digitale, impone a chiunque debba vivere di lavoro di mettere in conto un processo individuale e collettivo di implementazione continua delle competenze?

È vero che ne parla in alcune delle 37 pagine del suo programma ma in termini vaghi per quanto riguarda il sistema scolastico e con autentica sciatteria quando ipotizza che le politiche attive del lavoro possano essere attuate da venti diversi sistemi regionali di utilizzo delle risorse del PNRR destinate alla formazione, ignorando che la maggior parte delle Regioni italiane negli anni scorsi non è mai riuscita a spendere in toto i finanziamenti del Fondo sociale europeo.

Immaginare che progetti ambiziosi di valorizzazione delle risorse umane possano essere affidati solo a strutture pubbliche (i Centri per l’impiego) e non, contemporaneamente, anche alla rete delle presenze nazionali e territoriali dei soggetti giuridici privati specializzati nell’incontro tra domanda e offerta di lavoro, è una forzatura generata da residui ideologici, da pigrizia conoscitiva, da mancanza di visione a medio/lungo termine.

Il campo stretto di centro-sinistra, dopo aver affrontato in termini tanto superficiali la questione del lavoro e della qualificazione cultural-professionale, non esprime neanche una linea credibile sul futuro dell’Europa, arrivando a dire che “serve dar vita a una Confederazione europea che leghi i 27 stati membri e i Paesi candidati”, dimenticando che da sempre il riformismo europeo di qualunque orientamento politico si è battuto e si batte per il FEDERALISMO europeo, l’unica soluzione che consente di superare il collo di bottiglia delle decisioni all’unanimità, di dar vita a una politica estera e di difesa comune e autonoma, in collaborazione di certo con la Nato, ma con identità e regole specifiche, idonee a garantire il protagonismo del Vecchio Continente nel nuovo Ordine economico-politico internazionale.

Mi sembra anche singolare che una coalizione con un forte retroterra culturale democratico, nel parlare di Europa non dica una parola sui paradisi fiscali in generale e più specificamente su quelli che inquinano il territorio europeo (Olanda, Irlanda, Cipro, Malta, Lussemburgo e le enclave come il Principato di Monaco, Andorra, Liechtenstein, San Marino, Città del Vaticano), ignori le democrazie illiberali che sono già dentro l’Unione Europea e non ponga condizioni esplicite alle candidature dei Paesi balcanici che non brillano né per democrazia né per fermezza legalitaria contro la permeabilità delle loro Istituzioni alle intrusioni finanziarie di natura criminale.

A fronte di questi rilievi, mi sembra chiaro che, se non si vuole far precipitare il Paese nel baratro e nel conseguente impoverimento collettivo, si deve scegliere di portare a cantierazione quella che viene definita l’Agenda Draghi. Il che comporta l’accantonamento della tentazione astensionistica e l’assunzione da parte degli elettori della responsabilità di sostenere i soggetti politici singoli e/o associati che mostrano maggior volontà di battersi per questo impegno di continuità.

Dal voto del 25 settembre, insomma, deve venir fuori un segnale forte all’impegno sugli obiettivi non sulle coalizioni di governo, la cui estensione dovrà essere determinata dal merito e dalla credibilità dei soggetti rappresentativi.

In un sistema parlamentare come il nostro, il nodo da sciogliere non è attribuire la presidenza a chi prende un voto in più, ultimo aggiornamento del famigerato 1 vale 1, ma di costruire una compagine governativa che abbia insieme competenze e rappresentatività, consapevolezza delle criticità del momento e visione sul futuro.

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