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L’immensità di Joseph Ratzinger

E' morto Benedetto XVI. Fatti, commenti, approfondimenti e un'analisi di Benedetto Ippolito, storico della filosofia e intellettuale cattolico

Addio a Ratzinger.

“Con dolore informo che il Papa Emerito Benedetto XVI è deceduto oggi alle 09:34 nel monastero Mater Ecclesiae in Vaticano. Non appena possibile seguiranno ulteriori informazioni”. Lo ha dichiarato il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Matteo Bruni.

Da lunedì 2 gennaio il corpo del Papa Emerito sarà nella Basilica di San Pietro in Vaticano per il saluto dei fedeli.

“Un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore”, disse affacciandosi per la prima volta dal balcone di piazza San Pietro. Grande e rigoroso teologo, capace di rendere accessibili temi molto complessi, Joseph Ratzinger è stato eletto Papa tre giorni dopo la data del suo compleanno, il 19 aprile 2005, dopo solo quattro votazioni alla seconda giornata del conclave (tre scrutini e un giorno di votazioni, solo per Pio XII ci volle cosi’ poco, ndr).

Ha annunciato in latino, durante un Concistoro ordinario, la sua rinuncia al ministero petrino l’11 febbraio 2013, diventando l’ottavo Pontefice a farlo, se si considerano i casi di Clemente I, Ponziano, Silverio, Benedetto IX, Gregorio VI, Celestino V e Gregorio XII (di cui si hanno fonti storiche certe o molto attendibili).

È Papa emerito dal 28 febbraio 2013. Della sua rinuncia al papato, Ratzinger non si e’ mai pentito, almeno secondo il suo segretario particolare e prefetto della Casa pontificia, monsignor Georg Gaenswein che in un documentario realizzato da una televisione tedesca affermò che “le dimissioni sono state una decisione lunga, ben pregata e sofferta, di cui non si e’ mai pentito” e che il “Papa emerito e’ completamente in pace con se stesso”.

(Redazione Start Magazine)

ESTRATTO DELL’ANALISI FIRMATA DALLO STORICO DELLA FILOSOFIA E INTELLETTUALE CATTOLICO BENEDETTO IPPOLITO DOPO LE DIMISSIONI DI RATZINGER L’11 FEBBRAIO 2013:

La Chiesa, per definizione evangelica e apostolica, è un’autorità non derivata dalla storia ma funzionale alla comunità dei credenti, ossia costitutiva e fondativa del Popolo di Dio. Questo fatto la separa da ogni altro tipo di società religiosa esistente. Perciò i romani la perseguitavano nei primi secoli, e ovunque lo stesso succede oggi: perché il Papa, che ne è architrave, non risponde ad altri che a Dio.

Conviene ripetere. La sua autorità, che non è politica, deriva da Dio, e proprio per questo è in grado di riconoscere qualsiasi altra autorità politica che non ha la stessa origine.

Dunque, nel suo, ossia nelle cose di Dio, il Papa non risponde al potere, esercita un’autorità. Ma, evidentemente, non lo fa come persona regnante, bensì è l’ufficio che la persona regnante ricopre a tempo determinato che autorizza e legittima, imponendo doveri specifici in coscienza. Il limite temporale, infatti, di solito è la morte, ma, come si è visto, può essere pure la rinuncia appunto in coscienza, nelle condizioni prescritte dal Codice di Diritto Canonico.

Bene. La Chiesa è un’autorità divina, dunque, il cui perno è il Vicario di Cristo e la cui determinazione è la cosiddetta “romanitas”. Gregorio VII, nel Dictatus papae nel XI secolo, esprimeva questa trascendenza immanente dell’autorità petrina nel vescovo di Roma, così: “Ecclesia romana a solo Deo est fundata”. Il che significa che solo la Chiesa di Roma deriva da Dio; il resto della Chiesa deriva anch’esso da Dio, ma unicamente tramite la legittimità che il Papa trasmette. Altro che retaggio storico, caro Mancuso, è Matteo 16, 18: è il Vangelo che indica che il Fine della Salvezza passa attraverso la Funzione Sacra che il Papa svolge per l’umanità, le cosiddette Chiavi che Cristo ha affidato a Pietro, le quali, si ricorderà, sciolgono e legano in Terra le cose del Cielo: definizioni approfondite perfettamente da Leone I Magno e Gregorio I Magno, non da un commentatore di Formiche del XXI secolo.

Negli ambienti non cattolici, d’altra parte, sono talmente abituati all’ignoranza dei cattolici che pensano di raccontarci le cose come pare a loro, non come sono in sé.

Seconda osservazione. La Chiesa non è unicamente istituzione divina. E’ anche organizzazione umana, ossia una realtà sociale, un’“attrezzatura” che uomini legittimati, innanzi tutto, dal battesimo e poi dal sacerdozio hanno il compito di gestire. Qui subentra il bene e il male. Subentra cioè quel fenomeno che Scalfari chiama pastoralità, ma che io chiamerei invece potere, nel bene e nel male: ossia ambizioni, egoismi, voglia di emergere, eccetera eccetera, ma anche solidarietà, generosità sociale, cura dei poveri, sussidiaria donazione, eccetera eccetera.

Da queste lunghe premesse, tirerò una breve conclusione. Se la Chiesa, insomma, è al contempo istituzione divina e organizzazione umana, ecco che il farsi da parte, umile e grandiosamente coraggioso, di Benedetto XVI non è per nulla il passaggio dall’eternità alla storia, il venir meno del divino per l’umano, e il celebrarsi finale di una secolarizzazione del teologico, come avrebbe detto Carl Schmitt, tanto desiderata in certi ambienti. No. Men che meno è la vittoria del potere pastorale sull’autorità divina, come dice Mancuso. Tutt’altro.

Con questa sua decisione libera, davanti ad una Chiesa probabilmente dominata da situazioni che Nietzsche definirebbe “umane, troppo umane”, Ratzinger ha detto di no a se stesso, alla perpetrazione debole della propria impotenza; ha detto no a un sistema di potere e di governo che non va; dicendo di sì a Dio, all’autorità del Papa, alla sua indipendenza, alla sua libertà di dominare il potere con la forza legittima della sua intrinseca autorità.

Con tale atto, forse davanti a tante situazioni che in questi anni egli ha visto, conosciuto e toccato con mano nella loro gravità, l’uomo Ratzinger ha deciso di farsi da parte per qualcun altro che possa dopo di lui umanamente afferrare lo scettro divino, riaffermare il primato della Chiesa, della sua istituzione sull’organizzazione umana, della sua autorità sul potere, dando una scossa all’intera cristianità.

Mi si convinca del contrario, se non è così. D’altronde, il senso di questo mio discorso è semplice, forse perfino banale. Senza potere non si può contrastare lo strapotere del relativismo mondano ed ecclesiale. E il mondo presente ha bisogno proprio di questo: lottare contro la dissipazione. E nella Chiesa l’unico potere legittimo che può fare una cosa del genere non è l’abuso personalista delle cariche ma l’espressione forte e decisionale di governo del Vicario di Cristo, un primato spirituale che non ha bisogno di mezzi militari ed economici per vincere corruzione, ipocrisia e tiepidezza, ma solo di santità e della forza della fede.

Joseph Ratzinger resta un cardinale nella Chiesa, non uno sconfitto dalla vita; allo stesso modo che l’istituzione pontificia resta sempre la stessa, sopra la Chiesa e sopra i cardinali, a prescindere da tutto e tutti.

Benedetto Ippolito

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LA SCHEDA DELL’AGI SU PAPA RATZINGER

Negli anni del suo Pontificato, Ratzinger dà il via a una vera e propria rivoluzione in termini di trasparenza, contribuendo a una inversione di rotta nei confronti dei preti pedofili. Già nel marzo 2005, meno di un mese prima dell’elezione al soglio petrino, il futuro Papa denunciò, durante la processione del Venerdì Santo, la dilagante piaga della pedofilia all’interno del clero.

Come Benedetto XVI poi incontra le vittime di abusi in Vaticano, Usa, Australia, Malta, Gran Bretagna e Germania. Nel 2010 scrive una lettera pubblica ai cattolici d’Irlanda destinata a passare alla storia in cui esprime vergogna, disonore e rimorso a nome della Chiesa.

Le tre encicliche

In quasi otto anni da Papa, Joseph Ratzinger redige tre encicliche: ‘Deus caritas est’ (25 dicembre 2005), ‘Spe Salvi’ (30 novembre 2007), ‘Caritas in veritate’ (29 giugno 2009). Quattro le esortazioni apostoliche: ‘Sacramentum Caritatis: esortazione apostolica post-sinodale sull’Eucarestia fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa’ (22 febbraio 2007), ‘Verbum Domini: esortazione apostolica post-sinodale sulla Parola di Dio nella vita e nella missione di Dio nella vita e nella missione della Chiesa’ (30 settembre 2010), ‘Africae munus: esortazione apostolica post-sinodale sulla Chiesa in Africa al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace’ (19 novembre 2011) ed ‘Ecclesia in Medio Oriente: esortazione apostolica post-sinodale sulla Chiesa in Medio Oriente, comunione e testimonianza’ (14 settembre 2012). Decine i viaggi in Italia e all’estero.

La vocazione e il percorso nella Chiesa

Figlio di un poliziotto e una cuoca, Joseph Aloisius Ratzinger nasce a Marktl am Inn, nel territorio della diocesi di Passau, in Germania, il 16 aprile 1927. La sua infanzia è segnata dalla guerra. Entra in seminario a 12 anni, seguendo i passi del fratello maggiore Georg, ma è costretto a indossare la divisa militare perche’ reclutato nel programma Luftwaffenhelfer, riservato a tutti i giovani studenti.

Successivamente viene arruolato tra le fila della Wehrmacht. Vive da vicino la brutalità del nazismo: un suo cugino affetto da sindrome di Down viene ucciso, nell’ideologia della pura razza hitleriana e il suo parroco bastonato dai nazisti prima della celebrazione di una messa.

Solo con la fine della guerra Ratzinger torna ai suoi amati libri e il 29 giugno 1951, a 24 anni, è ordinato sacerdote. Un anno dopo inizia la sua attivita’ didattica nella medesima scuola di Frisinga dove era stato studente. Dopo la tesi in teologia (1953), intraprese una brillante carriera accademica. Insegna all’Università di Bonn, di Munster e di Tubinga. Nel 1969 torna nella natia Baviera all’Universita’ di Ratisbona, dove gli viene offerta la cattedra di dogmatica e storia del dogma e dove assume anche l’incarico di vicerettore.

L’intensa attività accademica e scientifica lo porta a svolgere importanti incarichi nella Conferenza episcopale tedesca, nella Commissione Teologica Internazionale. Notevole è il contributo che Ratzinger dà al Concilio Vaticano II (che apre i lavori nell’ottobre del 1962) e in qualità di “esperto” assiste il cardinale Joseph Frings, arcivescovo di Colonia.

È nominato arcivescovo di Monaco e Frisinga da Paolo VI il 25 marzo 1977. L’ordinazione episcopale la riceve il 28 maggio dello stesso anno: primo sacerdote, dopo 80 anni, ad assumere il governo pastorale della grande diocesi bavarese. Sceglie come motto episcopale: ‘Collaboratore della Verita”.

Lo stesso Pontefice il 27 giugno 1977 gli assegna il titolo presbiterale di Santa Maria Consolatrice al Tiburtino, nominandolo cardinale. L’anno dopo quindi partecipa al conclave che elegge Papa Albino Luciani (Giovanni Paolo I), il 26 agosto e il 16 ottobre dello stesso anno, a quello che elesse al soglio petrino Karol Woytjla. Sarà Giovanni Paolo II a chiedere a Ratzinger di tornare a Roma. Nel 1981 (il 25 novembre) lo nomina Prefetto della Congregazione della Fede (incarico durato 23 anni e mezzo), presidente della Pontificia Commissione Biblica e della Commissione Teologica Internazionale.

Negli anni di leale collaborazione con Giovanni Paolo II in piu’ occasioni trapela un suo dissenso sulle scelte “di frontiera” del Papa, come la Giornata Mondiale di preghiera per la Pace del 27 ottobre 1986 che raduna ad Assisi i leader di tutte le religioni del mondo. E ugualmente il cardinale Ratzinger non condivide la scelta del “mea culpa” che Papa Wojtyla decide di pronunciare in occasione del Grande Giubileo del 2000. Dissenso non pubblico da parte dell’allora cardinale Ratzinger anche per quanto riguarda l’istituzione della Giornata della Misericordia, che per decisione del precedente Pontefice viene celebrata nella seconda domenica di Pasqua.

Ma queste “riserve” del custode dell’ortodossia non incrinano il rapporto di fiducia che lo lega al Pontefice, per il quale ha “fatto ordine” in tema di teologia della Liberazione, con documenti e provvedimenti che hanno in pratica sradicato questa visione troppo orizzontale della vita cristiana dalla Chiesa ufficiale dell’America Latina, lasciando pero’ il campo libero alle sette religiose fondamentaliste che promettono piu’ solidarieta’ contro l’ingiustizia.

Sempre Wojtyla lo nomina nel 1986, presidente della Commissione per la preparazione del ‘Catechismo della Chiesa cattolica’.

Nel 2002 i cardinali lo eleggono Decano del Collegio Cardinalizio. Tra le sue pubblicazioni particolare eco ha ‘Introduzione al cristianesimo’ (1968), raccolta di lezioni universitarie sulla “professione di fede apostolica”. Nel 1973 il volume ‘Dogma e Predicazione’, raccoglie i saggi, le meditazioni e le omelie dedicate alla pastorale. Le sue pubblicazioni costituiscono un punto di riferimento per quanti sono impegnati nello studio approfondito della teologia. Si pensi al volume ‘Rapporto sulla fede’ (1985), ‘Il sale della terra’ (1996), ‘Alla scuola della Verita” dato alle stampe in occasione del suo 70esimo compleanno.

Da Pontefice ha scritto ‘Gesu’ di Nazareth’ in più volumi, saggio sulla figura storica di Gesù Cristo. Nella sua prima udienza generale (27 aprile 2005) spiega il perche’ del nome: “Ho voluto chiamarmi Benedetto XVI per riallacciarmi idealmente al venerato Pontefice Benedetto XV, cha ha guidato la Chiesa in un periodo travagliato a causa del primo conflitto mondiale. Fu coraggioso e autentico profeta di pace e si adoperò con strenuo coraggio dapprima per evitare il dramma della guerra e poi per limitarne le conseguenze nefaste“.

Il 12 settembre 2006 il suo incontro con rappresentanti della scienza all’Università di Ratisbona, in Germania. Il discorso dedicato al dialogo tra fede e ragione provocò inizialmente reazioni allarmate in tutto il mondo e segnò per settimane i rapporti con l’Islam.

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