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Tripoli Cina

Vi spiego chi in Libia sta azzoppando l’Italia. L’analisi di Mercuri

Mentre la Libia è da tempo sparita dall’agenda politica italiana, altri Paesi europei come la Francia sono sempre più attivi. L'analisi di Michela Mercuri

Seppure il premier Conte abbia smentito che il mini-summit che si è tenuto tra Germania, Francia, Regno Unito e Turchia a margine della riunione dei capi di Stato dei paesi della Nato avesse avuto come obiettivo quello discutere della situazione in Libia, bensì della Siria, resta il dubbio che più di un attore vorrebbe “farci fuori” da uno dei dossier nevralgici per il nostro interesse nazionale. La notizia non dovrebbe affatto stupirci: la Libia è da tempo sparita dall’agenda politica italiana.

Poco importa se lo scorso 20 novembre nei pressi della città di Tarhouna è stato abbattuto un drone italiano che è costato a Roma un deciso monito da parte dell’Esercito nazionale libico (Lna), così come sembrano interessare poco al nostro governo i frequenti attacchi aerei da parte delle milizie di Haftar nei pressi dell’ospedale italiano all’interno dell’aeroporto di Misurata. Nessuna risposta e nessun monito da parte delle nostre istituzioni. Un silenzio assordante che ci è costato una inesorabile e graduale marginalizzazione dal teatro libico.

Eppure la lezione è ben nota: in politica gli spazi vuoti non esistono perché vengono subito riempiti. Nessuna distrazione è concessa. Non a caso qualche giorno fa il vicepremier libico, Ahmed Maitig, uomo forte di Misurata e fin qui molto vicino all’Italia, ha cercato di riaprire i contatti con Parigi dopo le frequenti accuse alla Francia di sostenere Haftar. Forse l’Eliseo vorrebbe “riempire il vuoto italiano” nell’ovest?

Anche la Germania sembra più attiva del solito. Recentemente il ministro degli esteri tedesco, Heiko Maas è volato a Zuwara per incontrare il premier onusiano Fayez al-Sarraj. Poi è partito alla volta del Cairo per colloqui con al-Sisi, alleato di Haftar.Poi in Turchia, vicina alle forze islamiste dell’ovest, dove ha incontrato il capo della diplomazia di Ankara, Cavusoglu.

Anche la Turchia, invitata al mini vertice di Londra sulla Libia, sembra contare molto più dell’Italia. Il Governo di accordo nazionale di Tripoli lo scorso 28 novembre ha firmato un protocollo d’intesa con il presidente turco Erdoğan. Seppure i contenuti siano piuttosto fumosi Ankara ha parlato sia di un accordo sulla gestione economica delle acque che circondano il confine sud-est dell’Europa (per l’istituzione di una ZEE, zona economica esclusiva) sia di un’intesa per ampliare la cooperazione militare per la sicurezza tra le due parti. Insomma, anche la Turchia, già coinvolta nel teatro libico con lauti finanziamenti alle milizie dell’ovest, sembra intenzionata riempire il vuoto italiano.

Detta in altri termini, visti gli interessi in ballo, difficile credere che i 4 si siano limitati a parlare di Siria.

È evidente che quanto fin qui affermato non può che farci vedere “il bicchiere mezzo vuoto” ma, seppure il quadro sia a dir poco sconfortante, può essere utile capire se possiamo ancora cercare di recuperare in extremis un minimo ruolo nel paese.

Quali carte abbiamo ancora da giocare e cosa potremmo fare?

Il premier Conte, dopo il bilaterale con il presidente americano Trump, ha accennato a una certa sintonia sulla Libia. Parole che vanno misurate con la lente della diplomazia e con l’indecisione di Trump tra la linea del Consiglio per la sicurezza nazionale, più vicina ad Haftar, e quella del Dipartimento di Stato più vicina al governo riconosciuto dall’Onu. Se prevalesse quest’ultima opzione potremmo sperare in una certa convergenza con gli Usa che potrebbe “rinvigorire” la nostra posizione in Libia, seppure con l’oramai noto ruolo di “gregari”.

L’ambasciatore russo Sergey Razov ha parlato di “un gran finale per quest’anno nei rapporti tra Italia e Russia”. Sfruttare questo “doppio binario” per cercare di mitigare i rapporti tra Russia e Stati Uniti sulla questione libica (oggi ai minimi termini) sarebbe da parte dell’Italia una mossa diplomatica da “fuoriclasse”. Ma, vista la debolezza fin qui dimostrata da Roma, forse è pura utopia.

Proviamo, allora, ad essere più concreti. La nostra ambasciata a Tripoli, nonostante tutto, continua a portare avanti sforzi lodevoli per mantenere un dialogo aperto con quanti più attori possibili, eppure nessuno a Roma sembra curarsene più di tanto. Abbiamo buoni rapporti economici bilaterali con alcuni degli attori regionali che sostengono le diverse fazioni in campo, ad iniziare dall’Egitto e dal Qatar. Perché non provare a far fruttare questi assets?

L’unica cosa da evitare è continuare a mantenere questa posizione di ingiustificata abnegazione che nel 2011 ci è costata la Libia e questo scoraggiante atteggiamento di neutrale e imbarazzato silenzio.

Teniamo a mente le parole di Martin Luther King: “La nostra vita (politica ndr) comincia a finire il giorno che diventiamo silenziosi sulle cose che contano”.

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