Almeno sotto Natale, una riflessione sulle sorti della Chiesa cattolica ci sta. Si tratta ormai di un tema di cui si parla solo se c’è uno spunto di calendario, di cronaca, oppure nei circoli ristretti degli specialisti. Nella narrazione generale, la Chiesa non fa più notizia. Con il Papa che è arrivato “dalla fine del mondo” anche il cattolicesimo ha confermato una progressiva perifericità, nel senso che attecchisce soprattutto lontano dall’Europa e dall’Occidente che un tempo consideravamo il fulcro planetario.
Inevitabile partire, come spunto, dall’intervista concessa da Matteo Zuppi, il presidente della Cei (Conferenza episcopale italiana), da cui citiamo testualmente: “La Chiesa sta cambiando rapidamente… È un mondo che sta finendo. I ragazzi arrivano fino alla cresima, poi non li vediamo più, e non c’è più davvero un prete per chiacchierare… Dobbiamo unire umanesimo ed evangelizzazione”. Alla condivisibile citazione dell’intervistatore, “Pupi Avati dice che la Chiesa rischia di non sapere parlare del Vangelo, di ridursi a una Ong”, il capo dei vescovi italiani risponde, ancora letterale: “Il Vangelo non è un distillato di verità… Non dobbiamo aver paura di contaminare la verità con la vita… La verità si perde come il sapore del sale quando non si unisce alla vita”.
Frasi molto più significative di quella sulla quale il Corriere decide di fare titolo perché, per l’appunto, legata a un episodio di cronaca: “Sarebbe divisivo imporre il presepe con una legge”. Il riferimento è alla proposta di Fratelli d’Italia non di imporre ma di difendere questa tradizione, laddove in una scuola si proponga di abrogarla o modificarla per essere sensibili verso le altre culture e religioni. La questione – con buona pace di Zuppi, del Corriere, di Fratelli d’Italia e delle scuole – rimanda a una premessa di oltre duemila anni fa, l’ingresso nel cristianesimo nel mondo romano. All’introduzione di un principio, il monoteismo, che è altissimamente divisivo rispetto al sincretismo pagano, poiché basa anche la metafisica su un’idea di verità e di errore, anziché sul confronto aperto condotto nel mondo classico.
È quanto accade anche oggi, con alcune accelerazioni che conosciamo bene: il politicamente corretto, la cultura woke, la tendenza a preoccuparsi (in modo intellettualistico più che con reale carità) prima e più degli altri che di noi, prima persona plurale che indica l’identità indefettibilmente espressa da qualunque territorio, popolazione, Stato o nazione. Una sorta di sensibilità estroflessa che non tiene conto di come qualunque segno o simbolo funge da punta dell’iceberg di una realtà fattuale molto più rilevante. Per capirci: nessuno immaginava che impuntarsi sui posti riservati ai passeggeri di colore di un autobus avrebbe prodotto la rivoluzionaria abrogazione dell’apartheid in vigore negli Stati Uniti fino ad alcuni decenni fa.
Nel caso della Chiesa c’è poi un’ulteriore accelerazione, il processo di autoriforma condotto senza una valutazione attendibile delle conseguenze, causata dalla distanza tra le gerarchie ecclesiali e la società reale. Nel momento in cui un prete parla di sesso, per esempio, parla di qualcosa della quale ha un’esperienza molto indiretta. Così pure, il Concilio Vaticano II dette il la a un ammodernamento che determinò la rapidissima dispersione di un patrimonio di frequenza, pratica, convinzioni, vocazioni e relazioni accumulato nei secoli. Sciagura imprevista di cui Paolo VI si rese conto ben presto, ammettendo in un discorso memorabile quanto misconosciuto che nel Concilio avesse fatto ingresso “il fumo di Satana… Crediamo in qualcosa di preternaturale venuto nel mondo proprio per turbare, per soffocare i frutti”.
Papa Francesco continua a introdurre “innovazioni” che nella sostanza sono tanto minute da non soddisfare coloro cui sono rivolte ma che, a livello di immagine esteriore, comportano spaccature, divisioni, polemiche. In tale modo non si frena l’evaporazione cattolica, lo dicono le statistiche, anzi si aumenta la confusione e si aggrava l’ipotesi di una scissione della parte conservatrice o tradizionalista. Ala che, comunque, si dibatte in una contraddizione irrisolvibile: un tradizionalismo che vada contro il primato petrino taglia il tronco sul quale poggia e la critica troppo severa nei confronti del Pontefice regnante inficia la fede nel mistero pentecostale, parte della più generale fede nel potere soprannaturale di cui la Chiesa, per i credenti, sarebbe detentrice.
Al fondo, c’è proprio questo: lo smarrimento generale su ciò che è vero e non lo è, su ciò che conta e ciò che è superfluo, su trascendente e immanente. Una crisi esistenziale e trasversale alle fedi, alle ideologie, alla politica, che mina la stessa idea di progresso, di domani, di futuro, di sviluppo. Specularmente alla sensibilità quasi patologica verso il “diverso da noi”, è poi molto scarsa l’attenzione ai fratelli perseguitati: vedi gli armeni cacciati dalla loro terra, nella quale non sarà più celebrato il Natale, i cristiani palestinesi, anch’essi in grave difficoltà, oppure quelli direttamente trucidati in Africa e Asia.
Di questo sui media emerge poco, fuoriescono magari cose meno rilevanti, per esempio Enzo Bianchi che definisce il governo Meloni “grandi passi verso la barbarie”. Si ignora o si politicizza banalmente anche la grande forza ideale e operativa che ci riguarda più da vicino in senso geografico e culturale, l’islamismo. I francesi, per esempio, hanno molto più chiara di noi l’idea di come la forza demografica e ideologica dell’islam odierno traguardi la prospettiva di una “sostituzione”, per usare un termine in voga (su questo resta imperdibile la lettura di “Sottomissione”, il romanzo di Michel Houellebecq). Noi, al confronto con i cugini d’Oltralpe, viviamo ancora in una dimensione meno traumatica, ma bisognerebbe prestare più attenzione a fatti apparentemente periferici, come quelli in corso a Monfalcone. La sindaca leghista ha chiuso due luoghi di preghiera coranici per mancanza di permessi, scatenando una rivolta alla quale parte delle opposizioni ha dato il proprio appoggio, perseverando nella tattica suicida di inseguire qualunque contestatore del governo e della maggioranza appaia minimamente o temporaneamente credibile.
Pd e/o Cinque stelle vanno dietro ai musulmani così come agli influencer, con conseguenze a volte ben diverse da quelle auspicate, lo dimostra il caso di Chiara Ferragni. Balocco pagherà in termini commerciali la scelta di averla adottata come testimonial e probabilmente anche al Partito Democratico il passato sostegno alla moglie di Fedez non gioverà. Ma questa è un’altra storia.