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L’Europa seguirà davvero le strategie americane?

L’obiettivo degli Stati Uniti ormai non è più soltanto quello di aiutare l’Ucraina a difendersi bensì quello di ridimensionare fatalmente la Russia. Un estratto dell'articolo di Marta Dassù per Aspeniaonline

 

La posta in gioco è anche l’esito della prima prova di forza fra gli Stati Uniti, alla guida di una NATO rivitalizzata, e la Russia di Putin. In Ucraina, e per interposta Ucraina, si gioca la partita d’avvio della guerra fredda del 21° secolo.

Richard Haass, su Foreign Affairs, sostiene che in realtà gli obiettivi degli Stati Uniti in Ucraina non sono chiari, rispetto a una gestione della crisi dove spesso è stato l’andamento della guerra a guidare la strategia e non viceversa; e dove non si capisce in che modo l’Occidente definisca la sua nozione di “successo” rispetto ai possibili esiti finali. Se in tutto questo c’è una parte di verità, lo spostamento di focus sull’indebolimento della Russia permette tre osservazioni rilevanti per le scelte attuali degli Stati Uniti.

Primo: Washington non vede in questa fase possibili spazi negoziali, come del resto non li vede la Russia di Putin (fonti vicine al Cremlino, raccolte dal Financial Times pochi giorni fa, raccontano che dopo il ritiro da Kiev e l’affondamento della Moskva, Putin abbia deciso di andare fino in fondo nella sua resa dei conti nel Donbas e nel Sud-est dell’Ucraina, fino al controllo del Mar Nero e fino alla Transnistria). La guerra continuerà.

Secondo: l’Amministrazione americana, vista la performance delle forze armate russe nella prima fase della guerra, considera ormai modesti i rischi di escalation del conflitto in direzione dei paesi NATO, quali che siano i moniti di Mosca sui rischi di una “terza guerra mondiale”. Anche per questa ragione – un giudizio più “freddo” sulle possibilità di allargamento del conflitto – la vecchia distinzione fra armi difensive ed offensive non è più considerata rilevante.

Terzo: se la guerra in Ucraina era vista il 24 febbraio come un test della tenuta dell’Occidente, oggi è vista più che altro come un test della tenuta della Russia, perlomeno della Russia di Putin. Da una posizione prudente e difensiva, Washington è passata in due mesi a una posizione pro-attiva. Che si presta peraltro a obiezioni: sempre secondo Richard Haass, ma anche secondo il pensiero “realista” europeo, parlare in modo esplicito di indebolire la Russia, come obiettivo dichiarato di Washington nella guerra in Ucraina, azzera gli incentivi di Mosca a negoziare e aumenta i rischi di conflitto diretto fra la Russia e la NATO. Come si è appena visto, l’amministrazione Biden ritiene invece che fermare la Russia sia la condizione per fermare la guerra –  non viceversa. E sembra ritenere che i rischi siano minori dell’occasione per “degradare” le capacità di Mosca.

Il cambio di strategia americana segna così il futuro immediato della guerra in Europa ma al tempo stesso contiene echi del passato. Ad esempio, l’importanza del sostegno finanziario e militare a Kiev, da parte americana e NATO, ricorda in qualche modo, seppure con modalità molto diverse, il “ponte-aereo” su Berlino del giugno 1948-maggio 1949, che fece di Berlino Ovest una spina nel fianco permanente per l’URSS: il messaggio che oggi viene da Washington è che, anche in caso di successi militari parziali della Russia nella seconda fase della guerra in Ucraina, l’appoggio occidentale a Kiev permarrà. E passerà comunque dall’Ucraina la frontiera del contenimento della Russia. Sul Times Phil Breedlove, il generale americano che ha guidato le forze alleate in Europa dal 2013 al 2016, arriva a ipotizzare una base avanzata della NATO nell’Ovest dell’Ucraina, per le forniture militari e umanitarie.

È ancora troppo presto per prevedere l’esito del conflitto in corso fra difesa eroica della sovranità dell’Ucraina e aspirazioni neo-imperiali di Mosca, fra cui l’eventualità di una spartizione nei fatti, con un conflitto congelato esteso nello spazio e nel tempo. Ma il precedente della guerra di Corea, nei primi anni ’50 del secolo scorso, è significativo comunque: fu a conclusione della guerra di Corea, guerra calda della prima guerra fredda, che la NATO diventò, da un Patto difensivo sulla carta, un’alleanza militare operativa, con l’ingresso della Repubblica federale di Germania e l’avvio del suo processo di riarmo.

Oggi la NATO appare rafforzata dagli errori ed orrori compiuti da Putin; e si prepara, con il possibile ingresso di Finlandia e Svezia, a un lungo contenimento della Russia. Una questione aperta, oggi come allora, riguarda la solidità politica dell’Europa, più direttamente esposta degli Stati Uniti ai costi della rottura con Mosca. Investe il futuro della Difesa europea, dopo la vittoria elettorale di Emanuel Macron e le incertezze tedesche, fra aumento delle spese militari e ambiguità almeno iniziali nel sostegno all’Ucraina. E riguarda la tenuta nel tempo dei fronti interni occidentali, viste le spinte inflattive e i problemi energetici.

Fino a che punto l’Europa carolingia, sempre propensa a tenere aperto un canale di dialogo con Mosca prima che a indebolire la Russia, sosterrà il cambio di strategia americana? La risposta, per l’andamento della guerra fredda 2.0 e per la coesione occidentale, sarà decisiva.

(Qui l’articolo integrale pubblicato su aspeniaonline.it)

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