L’approvazione dello European Defence Fund (Edf) chiude una legislatura europea destinata a cambiare radicalmente il mercato europeo della difesa e lascia in eredità ai prossimi governanti il più importante strumento di ogni politica pubblica: la leva finanziaria. Con la dotazione dell’Edf di 13 miliardi di euro in sette anni (1,7 all’anno in media) per la ricerca e lo sviluppo di nuovi equipaggiamenti militari, l’Unione europea diventerà il principale investitore del continente. Anche perché col meccanismo del co-finanziamento condizionerà e attrarrà una quota degli investimenti nazionali, con un inevitabile effetto valanga.
L’Europa sarà costretta ad uscire dal torpore che ha caratterizzato l’innovazione tecnologica e l’ammodernamento delle sue Forze Armate in quest’ultimo ventennio. Si rafforzeranno così la base tecnologica e industriale e le capacità di difesa e sicurezza europee.
LE SFIDE PER GLI STATI MEMBRI
I 13 miliardi dell’Edf verranno dal bilancio europeo, finanziato dai suoi Stati membri. Serviranno per realizzare programmi comuni di ricerca e sviluppo assegnati su base competitiva: le imprese e gli Stati dovranno accordarsi per presentare progetti che risultino vincenti. Quelli che non ci riusciranno finanzieranno indirettamente i progetti degli altri.
Peggio ancora, questi ultimi diventeranno la base di prodotti europei che più facilmente si imporranno sul nostro mercato continentale. Coinvolgendo i rispettivi Paesi, quei consorzi industriali raggiungeranno più facilmente economie di scala e potranno puntare sulla spinta alla comunalità degli equipaggiamenti in servizio presso le Forze Armate europee, indispensabile per essere militarmente più efficienti e abbattere i costi dell’addestramento e del supporto logistico.
LE SFIDE PER L’ITALIA
L’Italia è stata uno degli artefici dell’allargamento a un minimo di tre imprese di tre Stati membri, superando il numero di due previsto dalla prima bozza del Regolamento per il programma biennale sperimentale 2019-20 presentato nel giugno 2017. Questo ha ora consentito di indicare lo stesso numero anche nel Regolamento EDF.
La preoccupazione italiana era che nei maggiori sistemi Francia e Germania potessero agire da sole. Certo, niente avrebbe garantito che il terzo Paese sarebbe stato l’Italia, ma, tenendo conto delle nostre capacità tecnologiche e industriali, questa prospettiva poteva diventare più realistica. Negli altri sistemi si sarebbe, invece, stimolata una collaborazione più ampia, di cui anche il nostro Paese avrebbe potuto avvantaggiarsi.
Era, però, chiaro fin dall’inizio che non sarebbe bastato cambiare le regole del gioco dell’EDF: i tecnici potevano contribuire a rimuovere gli elementi penalizzanti, ma poi toccava ai politici decidere di giocare. I Governi sono, infatti, chiamati ad un doppio impegno: 1) manifestare la loro volontà di acquistare in comune i prodotti frutto di questi sviluppi tecnologici; 2) coprire la quota di finanziamento residua (che, nel caso dei prototipi, può arrivare all’80%).
E se nel prossimo programma biennale, si tratterà di decine di milioni di euro, in quello settennale si tratterrà di centinaia. In ogni caso, visto l’attuale livello della spesa militare italiana e i tagli recentemente decisi dal Governo, non sarà facile coprire nemmeno le esigenze iniziali.
LE CONSEGUENZE DELLE SCELTE DELL’ATTUALE GOVERNO
A questa difficoltà se ne aggiungeranno altre due, frutto delle scelte compiute dall’attuale Governo:
- Se è sempre stato difficile per l’Italia inserirsi nell’asse franco-tedesco, così come in passato in quello franco-britannico, oggi l’operazione è molto più complicata. Il pessimo stato dei nostri rapporti con la Francia non favorirà di sicuro la nostra partecipazione ai progetti europei più importanti dove Francia e Germania sono partner indispensabili. In qualche settore possiamo puntare sul partner tedesco, ma non va dimenticato che fino ad ora è stata la Francia il nostro partner privilegiato in campo militare (navale, spaziale, missilistico), mentre solo nei velivoli militari abbiamo collaborato soprattutto con il Regno Unito, e così dovrà necessariamente continuare in futuro (nonostante gli effetti della Brexit).
- Dobbiamo, inoltre, pagare una significativa perdita di credibilità e affidabilità. La facilità con cui sono state annunciate nostre decisioni unilaterali che annullano o minacciano di annullare impegni internazionali (Afghanistan), aumento delle spese militari, forse F 35, ma anche Tav e prima Patto di Stabilità, hanno disperso un patrimonio che avevamo impiegato anni ad accumulare. E, ovviamente, i nostri partner (che sono anche nostri competitori) non ci sconteranno niente e la nostra strada diventerà ancora più in salita.
Bisogna solo sperare che non venga buttata altra benzina sul fuoco perché questa volta rischiamo di bruciarci davvero. Al contrario, vi sarà la possibilità di dimostrare chi ha un’effettiva volontà di tutelare gli interessi nazionali, cercando di far pesare di più il nostro Paese nell’Unione europea.
Articolo pubblicato su affariinternazionali.it