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Centrodestra

Le vere lezioni impartite da Giorgia Meloni

Che cosa sta cambiando davvero con il governo Meloni. La nota di Paola Sacchi

Alla fine, anche i più strenui avversari politici e mediatici che avevano agitato allarmismi vari sull’uscita dall’Europa o addirittura su vittorie di Putin in Italia, non sono riusciti ad affondare il colpo. Certa narrazione mediatica per gli allarmismi ora deve ricorrere a quelli sui fantasmi di un fascismo che non c’era già più con il Msi, per mezzo secolo in parlamento, partecipando alla vita democratica del Paese, come ha ricordato il premier Giorgia Meloni.

La sua riuscita maratona, alla conferenza stampa di fine anno del 29 dicembre, di circa 3 ore per 43 domande, segna il ritorno alla politica, con un premier leader del partito che ha vinto nelle urne, la riaffermazione del principio delle democrazie occidentali dell’alternanza.

Il presidente Meloni, sull’onda dei fatti, proprio mentre in Senato veniva approvata con un giorno di anticipo la legge di Bilancio, smentendo tutte le sinistre previsioni o desideri, chissà, dell’esercizio provvisorio, ha potuto dire che questo “non è il governo delle sette piaghe d’Egitto”, come pure le opposizioni avevano paventato. Contemporaneamente, il titolare del Mef, Giancarlo Giorgetti, esultava: “Missione compiuta”.

Meloni, che ha definito la manovra approvata in anticipo “un segnale di stabilità”, ha smontato anche l’allarme giocato sull’anti-europeismo e su un “sovranismo” rimasto in certa narrazione mediatica nella fissità degli anni in cui era ruggente. Ha rivendicato tutti gli obiettivi, raggiunti per il secondo semestre del 2022 con il ministro degli Affari Europei, Raffaele Fitto, sul Pnrr, pur avendone ereditato, essendosi insediato il governo di centrodestra o destracentro da poco più di due mesi, più della metà dal precedente governo di Mario Draghi.

Ma Meloni non ha rinunciato a rimarcare la sua idea, enunciata più volte, di Europa, non come uno stato, ma “una confederazione”, che si regge sul principio della “sussidiarietà”. Nello stesso programma comune presentato dal centrodestra alle elezioni l’europeismo è al primo posto, pur ponendo la necessità di un’Europa più politica e “meno burocratica”.

Se il protagonista della conferenza stampa di fine anno di Meloni è stata la rappresentazione plastica dell’affermazione del principio dell’alternanza politica, del bipolarismo, con la fine dei governi tecnici o simil-tecnici, una tendenza tutta italiana nata con Mario Monti nel 2011 sostituendo quello, indicato dalle urne, di Silvio Berlusconi e sono naufragati i tentativi da parte del Pd e del “terzo polo” di un ritorno al proporzionale, con magari sempre alla guida un tecnico di alto livello come Draghi, ora la sfida è per il centrosinistra, diviso e frantumato al suo interno, chiamato a costruire la proposta di alternativa.

Meloni, che ha ribadito la sintonia con gli alleati Berlusconi e Matteo Salvini (“Di loro mi fido”), ha tracciato il percorso di un esecutivo destinato a durare 5 anni. E forse dal centrodestra, che fondò con Berlusconi la via del bipolarismo e dell’alternanza delle democrazie occidentali, può venire anche una lezione per il centrosinistra. Per quanto si tenti di mettere ogni volta in contrapposizione le varie sfumature delle forze politiche della coalizione al governo, alla prova dei fatti finora la scommessa è stata vinta.

Ieri alla Camera sul decreto rave, il capogruppo di FI Alessandro Cattaneo ha precisato che dei 13 azzurri che non hanno partecipato al voto “solo Nazario Pagano lo ha fatto per un distinguo sulla revoca della sospensione dal servizio dei medici no-vax, pur avendo votato sì alla fiducia”.

Berlusconi e Salvini, pur non rinunciando alla propria identità, hanno accettato di rimettersi in gioco in una maggioranza trainata da Fratelli d’Italia, il partito di cui il premier è presidente, contaminando positivamente con i loro temi bandiera anche FdI che a sua volta ha contaminato gli alleati in un programma comune.

Dalla riforma della giustizia, per cui Meloni, che ha candidato un campione del garantismo come Carlo Nordio, ha posto la necessità di un “tagliando” e ha rilanciato la separazione delle carriere, all’Autonomia differenziata, vessillo leghista. Per la quale il leader della Lega Salvini, vicepremier, ministro delle Infrastrutture e Trasporti, ha espresso il vivo apprezzamento dopo che il titolare del dicastero Roberto Calderoli ha presentato il testo all’esecutivo: “L’Autonomia produrrà benefici da Sud a Nord. Avanti, determinati e compatti. Anche sul Presidenzialismo che avrà tempi diversi”. L’Autonomia, come ha detto ieri il presidente leghista del Veneto Luca Zaia, non è in contrapposizione con il Presidenzialismo (la riforma rilanciata da Meloni), perché, ha detto il governatore più votato d’Italia, “quella è anche la mia riforma, visto che c’è un presidente eletto dal popolo”.

Certamente le elezioni regionali della Lombardia e del Lazio saranno non solo un test per il governo ma anche per i rapporti interni alla coalizione. Ma un conto sono il quasi 9 per cento della Lega e oltre l’8 per cento di Forza Italia come forze che stanno al governo, altro conto le percentuali anche più che doppie di un Pd in calo nei sondaggi e che deve ancora trovare il bandolo della matassa su come incominciare la traversata del deserto. O di altre forze come il “terzo polo” che inseguivano il desiderio di un Draghi bis.

E sulle opposizioni incombe l’ombra dell’Opa principalmente diretta al Pd del capo pentastellato Giuseppe Conte. Tanto più dopo che il “terzo polo” di Carlo Calenda e Matteo Renzi ha visto approvato dalla maggioranza un ordine del giorno sul ritorno alla prescrizione contro la norma voluta dall’ex Guardasigilli Alfonso Bonafede. Se la Lombardia è strategica per il centrodestra, il Lazio sembra destinato a diventare il test principale per il centrosinistra.

Berlusconi, intanto, ribadendo che FI è il “centro del governo, al quale ci hanno chiamato gli italiani”, auspica un nuovo anno di “svolta” su crescita, fisco, giustizia.

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