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Le sfide trumpiane di Meloni

Quanto sarà ascoltata Meloni alla Casa Bianca? Il taccuino di Guiglia

Erano previsti sei gradi sotto zero ed è la temperatura che rispecchia anche il gelo incombente tra l’Europa e il nuovo e quarantasettesimo presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, alla vigilia del suo giuramento.

A rappresentare l’Unione europea all’inaugurazione del secondo mandato del leader repubblicano, che torna alla Casa Bianca dopo i quattro anni del democratico Joe Biden, è stata invitata soltanto la nostra presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. A Washington non era presente neppure Ursula von der Leyen, che pure guida la Commissione Ue. Altri, come Viktor Orbán, primo ministro ungherese, erano ospiti più per legami di tipo politico con Trump che non in virtù del ruolo istituzionale ricoperto.

Certo, non è una sorpresa la scarsa simpatia, peraltro ricambiata con gli interessi, che l’inquilino di ritorno ora al comando del più potente Paese al mondo nutre nei confronti dell’Europa. La considera un’unione di approfittatori del benessere e della generosità statunitensi. Tant’è che l’impetuoso presidente si prepara a introdurre dazi nei confronti dei prodotti europei, ossia a tutela di quelli americani. E a richiedere agli alleati di aumentare il denaro per far parte della Nato.

Già oggi 8 Paesi, tra i quali il nostro, non arrivano al 2% del Pil concordato. Trump sollecita un 5% per tutti a sostegno della difesa comune.

Dunque, Giorgia Meloni pur correndo il rischio della solitudine europea, ha una grande opportunità: contribuire a far ripartire quel dialogo euroatlantico che Trump ha liquidato persino con la Gran Bretagna, lo storico alleato. Escluso dalla cerimonia il premier laburista Keir Starmer, a differenza del populista anti-Ue Nigel Farage, invitato al pari del presidente argentino Javier Milei e a conferma della scelta trumpiana: privilegiare il mondo politico conservatore, liberale e sovranista a lui affine, non curandosi delle etichette istituzionali del mondo europeo e non solo progressista, che gli è invece ostile.

Ecco perché, partecipando, la conservatrice Meloni è al bivio. Potrebbe percorrere la facile strada dell’intesa politica e strappare un occhio di riguardo della nuova amministrazione per il governo italiano.

Oppure e proprio grazie al rapporto politico preferenziale reso più solido dall’incarico istituzionale rivestito (“è una leader fantastica”, ha già detto lui di lei), può cercare di esercitare quel ruolo-ponte che la crisi politico/economica delle nazioni con cui l’Italia si misura – Germania e Francia in Europa, Gran Bretagna fuori -, ha notevolmente indebolito.

Roma deve, così, ritrovare la funzione di guida accanto a Berlino e Parigi. Per esempio spingendo il recalcitrante presidente a non abbandonare l’Ucraina al suo destino. A non penalizzare l’intraprendenza europea, che per noi significa “made in Italy”. A non contrapporre il Nuovo Mondo al Vecchio Continente, dal quale discende.

Assenti Macron, Scholz e von der Leyen, la parola di Giorgia Meloni ha maggiori possibilità di essere ascoltata. Colga l’occasione per farla sentire. Senza piaggerie e senza sudditanze.

(Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova)
www.federicoguiglia.com

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