Mi è capitato ogni tanto di dissentire da Claudio Cerasa, il direttore del Foglio al quale piace essere border line fra gli schieramenti che si alternano alla guida del Paese in una versione forse troppo spesso pasticciata del bipolarismo. Che, per quanto preceduto dalla lunga contrapposizione fra la Dc e il Pci cominciata con le elezioni del 18 aprile 1948, esordì nella cosiddetta seconda Repubblica con la vittoria del centrodestra improvvisato nel 1994 da Silvio Berlusconi e la sconfitta dell’altrettanto improvvisata e “gioiosa macchina da guerra” dell’ultimo segretario comunista, e primo-post comunista, Achille Occhetto.
Come ad ogni acrobata di rispetto capita anche a Cerasa di cadere, fra esibizioni e allenamenti, dal filo su cui cammina. E persino di essere insultato dal solito Marco Travaglio, sul Fatto Quotidiano, che gli contesta antipaticamente il titolo di studio di ragioniere. Antipaticamente, per me, perché quello era anche il titolo di studio di mio padre.
Ebbene, per quanto -ripeto- mi sia capitato ogni tanto di dissentire, ho trovato impeccabile il processo politico che Cerasa ha fatto ieri al Pd per “l’opposizione che non sa fare”. O per tutte “le occasioni perse” nella corsa in cui maggioranza e opposizioni fra di loro, o ciascun partito all’’interno dell’una o delle altre, sono o dovrebbero sentirsi impegnate democraticamente a “dettare l’agenda”, cioè a far prevalere il tema o problema più produttivo, almeno elettoralmente.
Giustamente il direttore del Foglio ha lamentato “le occasioni” -ripeto- che il Pd, forse per non dispiacere a Giuseppe Conte e a quel che gli rimane del Movimento 5 Stelle, si è lasciato scappare di inserirsi nei contrasti esistenti nella maggioranza di governo sui temi delle carceri sovraffollate sino all’indecenza, della cittadinanza, delle pensioni, delle cosiddette autonomie differenziate ormai avviate sul percorso referendario, persino della politica estera dopo le incursioni ucraine in territorio russo, anziché viceversa come dall’inizio della guerra scatenata da Putin.
Mi chiedo tuttavia se è solo per paura di Conte, spintosi oggi sul Corriere della Sera a sfidare i forzisti sul percorso parlamentare dello “ius scholae” per la cittadinanza, che il Pd della Schlein si sia lasciata perdere e si perda tutte queste “occasioni”. E non invece per una sua natura ormai culturale, strutturale, istintiva, antropologica, chiamatela come volete.
Ciò impedisce al Pd della Schlein, per esempio, di considerare Forza Italia, pur così frequentemente diversa dai suoi alleati di governo, un’interlocutrice non liquidabile per l’origine da quell’”unto del Signore” come ieri Massimo Giannini su Repubblica ha continuato a chiamare, cioè a sfottere, la buonanima di Silvio Berlusconi. La ciliegina – direi per tornare in qualche modo a Cerasa direttore del Foglio e alla sua firma grafica- sulla torta di una politica incapace di liberarsi delle sue peggiori, livorose catene.