È entrato in carica da pochi giorni e già il governo Barnier deve affrontare gli spinosi nodi del bilancio e del debito. Ma non sono queste le uniche sfide con cui deve misurarsi un esecutivo privo di maggioranza parlamentare. Start Magazine ne parlato con Alberto Toscano, giornalista, analista di Affari Internazionali, politologo, saggista nonché presidente dell’Associazione della Stampa europea in Francia, per anni corrispondente da Parigi per diverse testate italiane.
Il governo Barnier si è appena insediato e ha già la gatta da pelare del bilancio e del documento su deficit e debito da presentare alla Commissione.
Il bilancio è la priorità assoluta per Barnier. Ricordo che la Francia proprio in questi giorni deve presentarlo a Bruxelles nelle sue linee guida insieme al piano di rientro di deficit e debito.
Preoccupa il debito francese?
Il debito pubblico francese è al 110%. Non è quindi il più alto dell’Eurozona in rapporto al Pil, ma è il più alto in valori assoluti avendo superato i 3.100 miliardi di euro. Nel 2023 la Francia ha avuto bisogno di emissioni per 285 miliardi, e nel 2024 supererà i 300 miliardi. Questo si riflette sullo spread in modo inesorabile.
Ciononostante la Francia non se la sta cavando male.
È vero, grazie anche ai rating eccellenti delle agenzie, sicuramente superiori a quelli dell’Italia. Tuttavia non bisogna sottovalutare il fattore spread. La Francia nel 2023 ha speso 50 miliardi di interessi sul suo debito pubblico contro gli 85 spesi dall’Italia. Ma nel 2024 e soprattutto nel 2025 i pagamenti raggiungeranno livelli italiani.
Cosa farà quindi Barnier, considerando che il suo sostegno parlamentare è gracile?
Barnier può contare sul fatto che porrà la cosiddetta fiducia alla francese, che prevede, ricordo, che un determinato provvedimento venga approvato senza richiedere un voto dell’Assemblea. Il disegno di legge viene cioè automaticamente approvato. Proprio così d’altronde Macron riuscì a far passare la riforma delle pensioni.
Facciamo un passo indietro e torniamo alla formazione di questo governo. Perché la scelta di Macron è ricaduta proprio su Barnier?
Barnier è un politico navigato con un passato di successo cominciato addirittura nel 1986 quando organizzò le Olimpiadi nella sua regione, la Savoia. Nel seguito è stato ministro degli Esteri e dell’Agricoltura e poi, in Europa, commissario e vicepresidente della Commissione per la quale ha anche gestito due dossier delicatissimi come quello della Brexit e quello dell’Unione bancaria. Ma non sono questi i motivi per cui il presidente l’ha nominato.
E quali sarebbero?
Il vero motivo è che le due ipotesi a cui Macron aveva lavorato sono fallite. Stiamo parlando del tentativo di dividere rispettivamente la destra e la sinistra. Macron ha tentato di formare una sorta di centrosinistra unendo all’Assemblea Nazionale il suo gruppo parlamentare a quello socialista ed eventualmente a quello verde senza escludere i comunisti isolando così il gruppo più estremista della France Insoumise. Per questa coalizione si era pensato a un leader come Bernard Cazeneuve, ossia il primo ministro di Hollande.
Uno schema che però è saltato.
Sì perché i socialisti si sono spaccati con una votazione della direzione che ha respinto l’ipotesi Cazeneuve con 38 voti contrari e 33 favorevoli.
A quel punto Macron ha guardato dall’altra parte.
Sì, e lo ha fatto individuando come possibile premier un gollista presidente di regione come Xavier Bertrand, ossia una figura che ha sempre espresso posizioni molto dure contro Marine Le Pen e il Rassemblement National. Ma qui è intervenuta la stessa Le Pen che ha fatto sapere che, in caso di nomina di Bertrand alla guida di una coalizione tra macronisti e Républicains, lei avrebbe votato una mozione di censura indipendentemente da chi l’avesse presentata, al limite anche se l’avesse presentata Mélenchon.
E invece l’ipotesi sostenuta dal Fronte Popolare di nominare Lucie Castets perché è stata bocciata da Macron?
Macron non ha voluto premiare l’unione delle sinistre malgrado sia uscita vincitrice dalle elezioni legislative di questa estate. Lo ha fatto perché convinto che questa coalizione sarebbe stata pilotata dall’estrema sinistra di Mélenchon. Del resto la nomina di Castets avrebbe prospettato una situazione insostenibile, ossia la presentazione di decreti che poi il presidente si sarebbe rifiutato di firmare, in particolare di revoca di quella riforma delle pensioni per la quale tanto si è speso Macron.
Fallite queste tre ipotesi è spuntato Barnier?
A questo punto Macron ha ritenuto di individuare una figura prestigiosa nell’ambito del centrodestra che non fosse immediatamente sfiduciata da Marine Le Pen con una mozione di censura. È quindi spuntato Barnier nella presunzione che, almeno in una prima fase, Marine le Pen non farà saltare il governo. Solo per questa ragione potrà sopravvivere un esecutivo che all’Assemblea nazionale dispone di soli 220 voti su 577 totali.