È partito il conto alla rovescia dei dazi annunciati da Donald Trump contro i prodotti europei. Siamo a meno cinque giorni dall’ora X, il fatidico 2 aprile che il presidente statunitense ha indicato come nuovo inizio della sua era di protezionismo economico a tutela esclusiva del made in Usa.
Ma grande è la confusione sotto il cielo euro-atlantico, così come la preoccupazione del “made in Italy”, destinato a subire la scure di Trump.
Non si sa, tuttavia, se il presidente manterrà la minacciosa parola, visto che il valzer sui dazi nordamericani da tempo incombenti fra Canada, Messico e la più lontana Cina, continua a variare da 25 a 200% a seconda dei beni importati, degli umori nella Casa Bianca e delle reazioni da contro-dazi annunciate anch’esse dai Paesi presi di mira.
Assistiamo a una singolare partita a scacchi, dove i giocatori comunicano le mosse che faranno, ma si guardano bene, ancora, dal compierle. E forse è questa la chiave per comprendere l’altrimenti incomprensibile prosopopea di Trump: annuncia misure catastrofiche persino a danno dei suoi stessi alleati occidentali per strappare, in realtà, una trattativa di favore. Almeno questa è la speranza dei molti Paesi tirati in ballo e costretti -come l’Ue delle 27 nazioni- a mandare mediatori di gran corsa a Washington e a non escludere provvedimenti da occhio per occhio.
L’incertezza politica è fotografata dall’intervista che la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha rilasciato al Financial Times dopo il vertice dei “Paesi volenterosi” a Parigi per l’altro risvolto della stessa medaglia nel gran ballo universale: come sostenere l’Ucraina a fronte della mossa a tenaglia tra l’aggressore Vladimir Putin e Trump, l’unica personalità occidentale disposta a dargli credito. Finora non ottenendo altro che un pugno di mosche, e di Mosca, sulla fine della guerra.
Ma intanto il recente attacco del vicepresidente americano, JD Vance, all’Europa, che secondo lui avrebbe abbandonato i principi di libertà di parola e di democrazia, trova d’accordo la nostra presidente del Consiglio.
“Le critiche non erano rivolte al popolo, ma alla sua classe dirigente”, distingue Giorgia Meloni. Che si dice, da conservatrice, più vicina al repubblicano Trump “che a molti altri”. Criticando, inoltre, la proposta franco-britannica di una “forza di rassicurazione” in Ucraina e giudicando “infantile” l’idea di contrapporre gli Stati Uniti all’Europa.
Ma così come è Putin ad aver aggredito l’Ucraina, è Trump ad aver minacciato i dazi e dato dei “parassiti” agli europei.
È vero: siamo solo alla guerra delle parole accanto alle due guerre vere, la militare sul campo e la commerciale nell’aria. Ma Elly Schlein, leader del Pd, accusa il governo d’essere un “cavallo di Troia di Trump”.
Tra dazi e amicizie politiche anche l’Italia dovrà presto schierarsi. O convincendo Trump che sta sbagliando su tutta la linea o contrastando le sue dannose strategie. Palazzo Chigi può essere determinante o irrilevante nella scacchiera dove le pedine attendono le ultime istruzioni prima di muoversi.
(Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova)
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