Può darsi che sia solo un caso. Ma comunque è un dato di fatto che “Le navi perdute del capitano Franklin” di Luigi Guarnieri (Einaudi, 328 pagine, 10,99 euro) arriva in libreria con eccezionale tempestività. Proprio in questi giorni grande eco hanno avuto le polemiche sulle pretese di Trump di acquistare la Groenlandia. E alcuni esperti di strategia e di geopolitica hanno fatto notare che la Russia di Putin ha già piazzato stazioni radar e installazioni militari nell’Artide. Se non ci fossero nel mondo altre e ben più gravi tragedie basterebbe a ricordare che il Polo Nord e le sue rotte di navigazione hanno un’enorme importanza strategica. Averne il controllo è oggi una sfida tra Stati Uniti e Russia. Ma in passato la “conquista” dell’Artide è stata un’impresa difficile e drammatica che è costata centinaia di morti.
“Le navi del capitano Franklin” di Luigi Guarnieri è la ricostruzione puntuale di una delle vicende più tragiche di quest’avventura. Nel 1845 la potenza mondiale che domina i mari è l’impero britannico che, partendo dal Canada, cerca il mitico “passaggio a nordovest”. Alla prova dei fatti, si rivelerà una rotta di navigazione ben più complicata di quella a nordest superando le coste norvegesi. Ma nessuno se ne è ancora reso conto e così l’ammiragliato di Londra fa partire verso i mari dell’Artide l’ennesima spedizione. La comanda sir John Franklin, un marinaio esperto di circa sessant’anni che si è arruolato nella Royal Navy quando ne aveva appena quattordici, ha combattuto in battaglie epiche come Trafalgar ed è stato anche governatore della Tasmania. Ai suoi ordini ha l’Erebus e il Terror, due bombarde la cui caratteristica è di avere uno scafo più robusto di altre navi: progettato per avere i mortai come artiglieria sembra all’epoca quello più adatto a navigare nelle acque ghiacciate dei mari artici e ha già dato buoni risultati al Polo Sud.
Ma stavolta la qualità delle navi utilizzate e la perizia di Franklin e del suo sottoposto Francis Crozier non bastano. La spedizione resta bloccata tra i ghiacci presso l’isola di Re Guglielmo e si conclude tragicamente con la morte di comandanti ed equipaggi. La catastrofe è stata a lungo al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica inglese. E in tempi più recenti ha ispirato vari romanzi (da “La scoperta della lentezza” di Sten Nadolny a “La scomparsa dell’Erebus” di Dan Simmons) e perfino una fiction coprodotta da Ridley Scott ma “Le navi perdute del capitano Franklin” di Guarnieri è la prima completa ricostruzione storica di tutta la vicenda e riesce a raccontarla come fosse un film. Compaiono i protagonisti della sfortunata spedizione e di ciascuno si percepisce la progressiva disperazione. C’è la popolazione locale, gli Inuit, che saranno determinanti per comprendere la dinamica della tragedia. E c’è anche chi come la moglie di sir John Franklin non si rassegna a non sapere nulla della loro sorte. Per venirne davvero a conoscenza ci vorranno circa 150 anni di ricerche con spedizioni altrettanto rischiose che Guarnieri racconta in maniera che coinvolge il lettore.