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Landini

Landini è ultra conservatore sul sindacato

Si sta giocando una partita su quale sia il modello sindacale del futuro? Credo che Landini lo abbia perfettamente capito e sottovaluti fortemente il pericolo di scegliere  il modello del passato, senza che vi siano più le condizioni del passato. Al netto delle conversioni ideologiche. L'analisi di Claudio Negro della Fondazione Kuliscioff

 

Una pietra miliare nella recente storia del sindacato l’omelia di Maurizio Landini al Congresso della FIOM. Nel senso che ha messo in fila con coerenza e lucidità, una per una, le scelte che il sindacato deve fare se vuole scomparire dal panorama della politica e delle relazioni sociali. Si tratta di opzioni non improvvisate, ma conseguenti ad una linea di pensiero che il Segretario della CGIL coltiva coerentemente da tempo.

Proviamo a scomporre l’omelia di Landini e a metterle a fuoco.

Innanzitutto Landini, riprendendo l’invocazione apostolare del suo diacono De Palma, identifica subito il campo in cui deve militare il sindacato: quello di Papa Francesco che «come noi vuole cambiare il modello di sviluppo» per mettere in discussione «il fordismo e il capitalismo».

Cosa che secondo Landini, «non ha mai fatto la sinistra con socialismo, comunismo e socialdemocrazia, e per questo è in crisi».

Qualche osservazione: il cocktail di capitalismo e fordismo è contraddittorio e se fosse vero implicherebbe che ci può essere un capitalismo non fordista, ma “buono”. Il che in effetti è, ma certamente Landini non mirava a questa conclusione. Che la sinistra, almeno quella antagonista, non abbia mai messo in discussione il capitalismo è un’affermazione palesemente  infondata; che la socialdemocrazia non lo abbia reso compatibile con il welfare e la giustizia sociale è una negazione della realtà.

Ma a Landini più del realismo storico sta evidentemente a cuore questo innamoramento ideologico, che evidentemente in un militante antagonista di lunga e spesso faticosa navigazione viene finalmente a sostituire falci e martelli e soli dell’avvenire in un orizzonte ben più millenarista e universalista. Se la lotta di classe non si spegnerà nella società comunista senza classi lo farà nella Nuova Gerusalemme in cui l’apostolato del sindacato trasformerà il sistema economico.

Landini osserva che è grazie alla democrazia, nel senso della partecipazione dei lavoratori alle scelte del sindacato, che la FIOM ha potuto “reggere la battaglia contro Marchionne”. Qui sfugge il senso: come se Cadorna avesse asserito che Caporetto era una vittoria tattica… Ma in questo tipo di narrazioni l’aderenza alla realtà non è richiesta: anzi è la realtà che si deve uniformare alla narrazione.

Ma il bello si prepara dopo: alla Meloni che gli dice che loro sono importanti ma lei deve tener conto dell’interesse collettivo, Landini oppone “Il governo vuole mettere in discussione il ruolo di sindacato generale di Cgil, Cisl e Uil, che non abbiamo il diritto di rappresentare tutto. Così si uccide qualsiasi rappresentanza sociale e si mette in discussione la democrazia ». Stiamo arrivando al nocciolo: Maurizio predica che la rappresentanza del sindacato non può che essere universale (del resto coerentemente con la appena scoperta vocazione apostolica, che appunto non può essere che ecumenica).

Suppongo che Landini intendesse riferirsi ad una rappresentanza totalizzante del mondo del lavoro, ma anche in questo caso  ci sarebbe da approfondire un po’ circa, per esempio, il pluralismo sindacale previsto dall’art.39 della Costituzione.

Ed infine il nocciolo della questione: “serve dare gli stessi diritti a tutti i lavoratori: scioperare per un contratto unico». Ma precisa poi meglio: “è indispensabile essere veramente confederali, far parlare tutti i lavoratori, mischiarli, le categorie come le conosciamo non rappresentano più il mondo del lavoro degli appalti e delle filiere».

Potrebbe sembrare un’ipotesi innovativa e solidale, ma è in realtà un’altra cosa: che il salario (in senso lato) non è più oggetto di contrattazione e di scambio tra capitale e lavoro all’interno di una data situazione produttiva, ma è “universale”, costruito in mancanza di elementi concreti di riferimento e ragioni di scambio, sulla base delle “esigenze”. Il  comunismo sovietico  aveva immaginato qualcosa del genere quando aveva sostenuto che “il lavoro è una corveè dovuta allo Stato” e quindi pagata sulla base dei bisogni e non del valore prodotto. Il che soddisfacerebbe peraltro il bisogno di “rappresentanza universale” fortemente avvertito da Landini.

Credo tuttavia che queste affermazioni apparentemente ecumeniche celino una ben più reale questione: il rischio di autoemarginazione di una parte importante  del sindacato italiano, che ormai si occupa troppo in astratto di nuovi modelli di società e  privilegia quasi esclusivamente il sostegno agli “ultimi”. In realtà i sindacati di categoria e ancor di più quelli aziendali contrattano efficacemente le retribuzioni e le condizioni di lavoro, coerentemente con gli input reali dell’impresa, contribuendo in modo decisivo alla crescita della produttività delle aziende e dell’economia: sono alla base della crescita sorprendente dell’economia italiana di questi ultimi due anni e del prossimo.

Si sta giocando una partita su quale sia il modello sindacale del futuro? Credo che Landini lo abbia perfettamente capito e sottovaluti fortemente il pericolo di scegliere  il modello del passato, senza che vi siano più le condizioni del passato. Al netto delle conversioni ideologiche.

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