Papa Francesco – sia detto con il massimo rispetto – ha alcune “fisse”, temi sui quali torna con particolare frequenza. I migranti, verso i quali raccomanda la massima accoglienza, la pace in Ucraina, la critica al clericalismo e naturalmente l’ambientalismo, per il quale si è speso molto, fino all’annuncio di un aggiornamento della sua enciclica “Laudato sì”. Si tratta di battaglie comprensibili, anche per chi non le condivide, ma indici di una inevitabile parzialità.
L’accoglienza e la tolleranza sono senz’altro parte del bagaglio caritatevole cristiano, però vanno contemperate con valutazioni geopolitiche per le quali l’apertura ai meno fortunati che si affacciano alla nostra porta può essere non così eticamente valida quanto appare. Ieri si è consumato uno scontro a questo riguardo tra Schlein e Meloni. L’esercizio del potere nel senso più deteriore del termine da parte del clero probabilmente esiste ancora, ma non ha certo più la rilevanza di un tempo. La pace in Ucraina è auspicabile se contemperata col rispetto del diritto internazionale. E poi, perché farne l’unico oggetto di appello quando tanti altri conflitti si consumano sul nostro Pianeta, per esempio le sanguinose persecuzioni dei cristiani in Africa e Asia? Anche la battaglia ecologista accoglie, assieme a molte ragioni religiosamente fondate come il rispetto per il creato, alcune venature ideologiche delle quali Bergoglio non sembra essere pienamente consapevole.
Sì dirà che sono limiti inevitabili, nessuno di noi propone argomentazioni impeccabili, l’essere umano è per sua natura imperfetto. Il problema nasce nel momento in cui questo essere umano è anche il capo della Chiesa Cattolica, la cui nomina dovrebbe avvenire dietro ispirazione dello Spirito Santo e quindi essere garantita di una superiorità sovrumana. Verità di fede, questa, alla quale si potrebbero opporre molte eccezioni desunte dalla storia, che ci conducono al secondo e più rilevante problema: il progressivo smarrimento del cattolicesimo inteso come universalità.
Anche i papi del passato hanno interpretato il loro mandato condizionati dalla contingenza storica in cui si è svolto. Una prima fase ha visto i pontefici e tutta la Chiesa dibattere di questioni prevalentemente cristologiche e teologiche, nel tentativo di affermare quelle verità di fede che sarebbero state poi trasmesse ai secoli successivi e che hanno determinato l’autonomia identitaria del Cristianesimo: prima di tutto rispetto all’ebraismo, dalle cui radici è cresciuto, e poi tra le varie confessioni, che si sono dilaniate su questioni che ai nostri occhi laici e moderni appaiono più astratte del sesso angelico. Però proprio questa è la fase più coerente e universale della storia della Chiesa che, nei secoli successivi, passa nelle mani di alcune famiglie nobiliari capitoline, laziali e italiane, perdendo gran parte del suo spirito ecumenico per concentrarsi su beghe geopolitiche più minute. Procedendo sempre per balzi plurisecolari arriviamo all’età moderna, nella quale il maggior cruccio della Chiesa è sembrato essere quello morale, stabilendo cosa sia bene o male relativamente ai comportamenti degli esseri umani.
Certamente oggi la Chiesa non è più un’ interprete della trascendenza che parli davvero a tutto il mondo. È un’agenzia che svolge uno spettro di azioni, dalla solidarietà alla diplomazia, contingenti e generaliste, mentre il suo credito in termini di salvezza ultraterrena o di affermazione di una verità divina è ridotto al lumicino. Ce lo dicono le cifre, soprattutto in Occidente. Tanto che il clero e lo stesso Santo Padre hanno rinunciato al proselitismo, relegando a retaggio politicamente scorretto.
A questo processo, che lo precede di molto, Francesco aggiunge alcune sue parzialità, se non le vogliamo chiamare distorsioni, di ottica, dovute alla sua vicenda personale, alle sue origini geografiche. Un papa che arriva dalla fine del mondo, come lui stesso si è definito, non può avere una visione davvero globale, così come accadrebbe a chiunque altro, e finisce per piacere soprattutto a coloro che cattolici non sono e ancor più a coloro che non sono neppure cristiani. Diciamo che come CEO della sua azienda il bilancio – fedeli, praticanti, vocazioni – è piuttosto fallimentare.
È parere di qualcuno che, per un paradosso solo apparente, la Chiesa potrà recuperare la sua cattolicità e la sua universalità proprio nel momento in cui si compirà nella piena accettazione questo carattere minoritario verso il quale si è avviata. Non doversi più preoccupare di tenere assieme grandi platee secolarizzate e variegate potrebbe aiutare il recupero di quello spirito primigenio con il quale la Comunità apostolare dei primi secoli cercò di manifestarsi al mondo.