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Londra

Uk, i piani di Starmer per far tornare i laburisti al governo

Che cosa ha portato il Partito laburista ad avere dai 20 ai 30 punti di vantaggio sul governo Tory nel sondaggi? L'articolo di Daniele Meloni.

 

Dopo oltre 12 anni di traversata nel deserto all’opposizione, il Labour rivede Downing Street. Pare che il suo leader, Sir Keir Starmer, si stia già “allenando” con la valigetta rossa contenente i dossier governativi, una cortesia che il sistema istituzionale britannico riserva al Leader dell’Opposizione, ruolo riconosciuto costituzionalmente dall’ordinamento.

Che cosa ha portato il Labour ad avere dai 20 ai 30 punti di vantaggio sul governo Tory nel sondaggi? In primis, la dèbâcle dei Conservatori, divisi al loro interno da fazioni che rendono ingovernabile il partito e hanno portato al clamoroso defenestramento di Boris Johnson prima, e di Liz Truss in appena 45 giorni. Una volta che l’elettorato percepisce un partito come rissoso e intento a parlarsi addosso, quel partito perde tutte le sue credenziali di fronte al paese. Così, Starmer si è trovato su un piatto d’argento i sondaggi che danno il Labour al 50% e i Tories poco sopra il 20 senza fare nulla di che.

Per la verità alcune mosse della leadership del partito sono state decisive nel riposizionamento del Labour nel centre ground della politica inglese. Abbandonato il radicalismo in favore di un laburismo più vicino alle tradizioni governiste del movimento forgiate dal fabianesimo – Starmer è membro della Fabian Society – il leader eletto nella primavera del 2020 si è distinto su tre cose: in primis, la battaglia nei confronti dell’antisemitismo che aveva contribuito a distruggere il Labour corbyniano. Oggi Jeremy Corbyn è sospeso dal movimento per non avere condannato con la giusta enfasi – secondo Starmer – i casi di antisemitismo nel Labour, il Jewish Labour è tornato a supportare i vertici del partito, e un ebreo ashkenazita, Josh Simons, è appena stato chiamato a dirigere Labour Together, una rete di think tank vicini a Sir Keir.

Secondo punto. Starmer ha capito da tempo che il Labour doveva abbandonare una politica ondivaga sulla Brexit. Politica, peraltro, portata avanti da lui come Ministro Ombra per la Brexit negli anni di Corbyn. Il Labour ora non chiede più un secondo referendum, o, peggio ancora per le fortune elettorali del partito, il rientro nell’UE, ma, come affermato dal suo leader al congresso di Liverpool, si occuperà di far sì che “la Brexit funzioni”. Magari modificando in meglio il Free Trade Agreement negoziato da Johnson. Di recente, dagli schermi della Bbc ha anche aggiunto che un rientro del Regno Unito nel Mercato Unico Europeo è “assolutamente da scartare”. Le cicatrici delle sconfitte post-Brexit sono ancora troppo profonde per imbarcare il partito in una revisione dell’esito del referendum del 2016, specialmente ora che il Labour è vicino a tornare al potere.

Infine, il partito è tornato a sventolare la Union Jack definendosi nuovamente “patriottico”, dopo anni in cui aveva abbandonato il suo senso della nazione in favore di un radicalismo terzo-mondista. Questo è un cambiamento che serve per riappropriarsi della working class britannica, che, specialmente nel Red Wall sfondato da Johnson nel 2019, aveva abbandonato il Labour. Gli elettori del nord-est e delle Midlands sembra stiano tornando all’ovile e i Laburisti possono contare anche sull’enorme consenso – e su sindaci eletti – nelle principali città inglesi a partire da Londra, Manchester e Liverpool. Una base per un’alleanza tra ceti professionali e impiegatizi urbani e classe operaia che Starmer potrà conquistare alle elezioni, ma dovrà essere altrettanto bravo ad amalgamare nella sua azione politica per non fare la fine di Boris Johnson.

Molto è cambiato nel Labour anche nella squadra che supporta Starmer. L’ex procuratore della Corona ha ottenuto la maggioranza dell’organo di governo del partito, il Comitato Esecutivo Nazionale (NEC), ha piazzato un ex blairiano, David Evans, come segretario generale del movimento, e ha “purgato” dalla sede di Millbank, nel cuore di Londra, tutti gli affiliati a Corbyn e agli attivisti a lui affini di Momentum. La sinistra del partito non l’ha presa bene. Gli attacchi a Starmer sono frequenti dagli ex ministri ombra di Jeremy Corbyn, ma la stampa dà loro sempre meno spazio e la loro posizione all’interno del Labour è ora di minoranza. Conquistare l’apparato è stato decisivo per Starmer, che ha anche risvegliato dal torpore post New Labour, politici vicini alla vecchia guardia blairiana come Pat McFadden, ora diventato Primo Segretario del Tesoro nel governo ombra laburista.

Il rapporto con le trade unions rimane teso. Anche se Starmer ha proposto per un’onorificenza Frances O’Grady, la leader dei sindacati britannici (TUC), alcuni dei più importanti sindacati affiliati al partito non sono in sintonia con il nuovo corso. Il segretario generale di Unite, Sharon Graham, non si è presentata agli ultimi due congressi del Labour, affermando di volersi dedicare più agli iscritti al sindacato che alle questioni di partito e chiedendo a Starmer “maggiore coraggio nelle sue scelte politiche”. Unite ha ridotto il suo contributo finanziario al Labour sia alla fine  dell’epoca McCluskey nel 2021, sia all’inizio di quella marcata Graham.

Ancora più spinosa è la questione relativa a RMT, Rail Maritime and Transport, l’associazione sindacale dei trasporti non affiliata al Labour guidata da Mick Lynch, che ha messo giù più volte in ginocchio il paese con gli scioperi dei treni e della metropolitana di Londra. Formalmente, Starmer ha impedito ai componenti del suo governo ombra di partecipare ai picchetti ed esprimere sostegno agli scioperi. Quando nello scorso agosto il ministro dei trasporti ombra, Sam Tarry, è andato a sostenere gli scioperanti nella stazione della sua constituency di Ilford South a Londra, Starmer lo ha cacciato dal governo ombra e minacciato di non ricandidarlo. Il problema non è solo politico ma anche personale per il leader laburista: Tarry è il marito di Angela Rayner, la vice leader del partito.

La questione della candidature, con un’elezione che potrebbe anche tenersi prima del 2024, sta occupando il Labour nella perenne lotta tra riformisti e radicali. Emma Dent Coad, che ha perso il suo seggio di Kensington a Londra per 150 voti nel 2019, è stata deselezionata. Nel 2017 mostrò il pugno chiuso dopo avere sconfitto il candidato Tory per soli 20 voti, ma ora il partito sembra volerle preferire un esponente centrista più vicino al corso starmeriano nonostante l’impegno della ex MP della corrente Socialist Campaign Group per garantire giustizia alle famiglie delle vittime dell’incendio della Grenfell Tower nel giugno 2017.

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