La Zanzara è forse l’esperimento culturale che più si presta all’esigenza di diversificazione della destra. Il programma radiofonico di Giuseppe Cruciani e David Parenzo è da qualche anno anche su Spotify come podcast, riscuotendo successi enormi.
Se a fine anno si guardano le classifiche di ascolto, La Zanzara si piazza sempre tra i primi tre podcast più seguiti su Spotify Italia (di recente ha anche vinto lo “Spotify Milestone Creator Award”, un premio che si ottiene superando i 50milioni di ascolti).
Per curiosità sono andato a spulciare i dati di ascolto disponibili per La Zanzara, i dati degli Editori Radiofonici Associati (cioè i dati TER). Si tratta degli ascolti che provengono dalla radio, e quindi non comprendono Spotify.
Il dato che si usa più spesso come indicatore di monitoraggio per gli ascolti via radio è quello del quarto d’ora medio (AQH – average quarter hour). I dati AQH misurano il numero medio di persone all’ascolto di una stazione, o di un insieme di stazioni, in un intervallo di 15 minuti. In pratica, l’AQH risponde alla domanda: quante persone, in media, stanno ascoltando la radio durante un quarto d’ora tipico? Per La Zanzara sono molti, e soprattutto sono aumentati da quando c’è il governo Meloni.
Nel grafico trovate i dati AQH per le fasce con più ascolti de La Zanzara, che va in onda alle 18.30 e termina intorno alle 20.45.
Gli ascolti per quarto d’ora medio sono espressi in centinaia di migliaia (quindi ad esempio “400” indica 400mila ascoltatori). La linea rossa tratteggiata è la media mobile per il quarto d’ora di picco degli ascolti, quello che va dalle 19.00 alle 19.15 (la barra arancione).
I dati TER disponibili sul sito degli Editori Radiofonici Associati cominciano dal 2017 e se si guarda al grafico è molto chiaro che fino al 2022, con la sola eccezione del 2021, La Zanzara mantiene più o meno lo stesso numero di ascoltatori. Curiosamente, dal 2022 in poi, cioè in concomitanza con l’insediamento del governo Meloni, i numeri AQH de La Zanzara crescono: prima tornano ai livelli pre-2021, per poi superarli nettamente nel 2023 e nel 2024.
Naturalmente non si può stabilire con certezza un nesso causale, perché servirebbe un controfattuale (cioè uno studio che stimi cosa sarebbe successo in condizioni diverse). Però è interessante notare che, nonostante le evidenti affinità ideologiche, le caratteristiche demografiche del pubblico de La Zanzara sono un po’ diverse da quelle di chi, ad esempio, ha votato Fratelli d’Italia nell’autunno del 2022.
Fino al 2020, La Zanzara aveva come target di riferimento un pubblico di età compresa tra i 35 e i 55 anni, con un picco nella fascia 45-54 che permane tuttora.
Con la pandemia, questa composizione ha cominciato a cambiare: ci sono progressivamente meno ascoltatori di età compresa tra i 35 e i 55 anni, mentre aumentano un po’ i giovanissimi (età compresa tra i 18 e i 24 anni).
Gli over 54 invece rimangono stabilmente alti attorno al 40 per cento della composizione totale del pubblico. I livelli di istruzione degli ascoltatori de La Zanzara, desumibili dai dati TER del 2024, sono invece i seguenti:
Circa il 70 per cento degli ascoltatori ha una laurea o un diploma, e questa composizione è rimasta più o meno sempre la stessa dal 2017. E gli elettori di Fratelli d’Italia?
Nel 2022 Fratelli d’Italia aveva ricevuto voti trasversalmente da tutte le fasce di età. Il partito di Giorgia Meloni aveva dominato soprattutto nella fascia 45-64, ma c’era un solo gruppo in cui non era riuscito a primeggiare: quello dei giovani di età compresa tra i 18 e i 24 anni (intercettati dalla coalizione Azione-Italia Viva).
La stessa fascia di età che negli ultimi anni sembra interessarsi di più ai contenuti della trasmissione di Cruciani e Parenzo. Se inoltre si va a guardare i livelli di istruzione degli elettori di FdI abbiamo una situazione quasi capovolta a quella de La Zanzara. Stando alle elaborazioni del Cise, sono gli elettori meno istruiti ad aver votato significativamente di più per il partito di Giorgia Meloni:
La maggiore propensione a votare Fratelli d’Italia la si riscontra fra i possessori della licenza elementare, seguiti da diplomati e, infine, laureati. Se si confronta questo dato con quello degli ascoltatori de La Zanzara si noterà che i due sono esattamente all’opposto.
Come per l’età, questa differenza potrebbe indicare una via: in podcast e programmi come La Zanzara c’è spazio per il centrodestra di diversificare le proprie sfere d’influenza, e provare a realizzare una forma di egemonia.
È ovvio che non tutti quelli che ascoltano La Zanzara sono attuali o potenziali elettori di Giorgia Meloni; come al solito c’è una quota fisiologica di ascoltatori che frequenta La Zanzara per le motivazioni più disparate: affetto o odio per uno dei due conduttori, passione per la caciara o magari per puro guilty pleasure.
Ma è altrettanto vero che dietro al finto gioco delle parti di Cruciani e Parenzo – il primo che ostenta una sorta di libertarismo anarchico e il secondo che scimmiotta la figura del progressista indignato – c’è un innegabile palinsesto di destra, rispecchiato dagli ospiti e dai temi affrontati; e soprattutto dalla piega che il conduttore principale, Cruciani, dà a quegli stessi temi.
Forse, allora, varrebbe la pena tornare alla domanda da cui siamo partiti: davvero la destra italiana sta puntando tutto sulla Rai per costruire la sua egemonia culturale? Il quadro sembra più complesso di così. Certo, esistono pressioni politiche sul servizio pubblico e tentativi di controllo editoriale che è giusto denunciare.
Ma limitarsi a parlare di ‘TeleMeloni’ rischia di semplificare troppo e di ignorare come la ricerca di consenso si stia già spostando altrove: in forme di comunicazione vecchie e nuove, in altri media e linguaggi, in luoghi meno evidenti. Forse la domanda più urgente è proprio questa: quale egemonia culturale si costruisce oggi, lontano dai riflettori della Rai, nei microfoni di programmi come La Zanzara?