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Tobagi

La strage di Bologna e le granitiche certezze

Lettera aperta alla scrittrice Benedetta Tobagi sulla strage di Bologna e non solo

Gentile Sig.ra Tobagi,

Ho letto con vivo interesse l’intervista da Lei rilasciata sulle pagine de La Stampa nella giornata di ieri, riprendendo in parte alcuni spunti già presenti nel Suo ultimo libro Le stragi sono tutte un mistero.

Le scrivo con la curiosità di chi vorrebbe capirne di più su quanto da Lei accennato nella brevità di una pagina di quotidiano, con la speranza di riuscire a dissipare i dubbi suscitatemi.

Non entro nel merito dei passaggi processuali inerenti ai tanti personaggi, più o meno noti, che hanno attraversato le aule dei tribunali e i diversi gradi di giudizio, ma mi limito a ciò che più mi è familiare, ossia i documenti di archivio e la pista internazionale.

Cito testualmente a proposito della pista palestinese, legata in maniera indissolubile alle carte custodite presso l’Archivio Centrale dello Stato a Roma «si, un’inchiesta bolognese lunga dieci anni l’ha dichiarata insussistente anche i documenti del Sismi declassificati a inizio 2023 dal governo Meloni l’hanno smentita», rimarcando quanto già affermato nell’introduzione del Suo libro a pagina XIV dove riporta «il pacchetto di maggior rilievo di documenti declassificati dal governo, proprio all’inizio del 2023, era stata una manciata di informative prodotte intorno al 1980 dal servizio segreto militare (all’epoca Sismi), relative al Medio Oriente: documentazione a lungo invocata dai sostenitori di una fantomatica “pista palestinese” (tra cui spiccano alcuni parlamentari di Fratelli d’Italia) come spiegazione alternativa per la strage di Bologna, ma rilevatasi alla fine un autogol, perché ne confermava l’infondatezza». Ora parlare di una manciata di informative mi sembra alquanto riduttivo, così come fermarsi al 1980, senza contestualizzare la loro origine e il loro sviluppo.

Per capire perché le carte abbiano assunto tanta rilevanza, vediamo innanzi tutto di cosa trattano. Il faldone SISMI-OLP comprende 195 documenti divisi in due carteggi. Il primo a essere stato declassificato contiene 32 documenti del 1979-1982 acquisiti dalla Procura di Roma nel corso delle indagini sulla strage di Ustica, versati all’Archivio Centrale dello Stato il 24 giugno 2022, in attuazione delle direttive Renzi (22 aprile 2014, relativa a nove stragi) e Draghi (2 agosto 2021, inerente Gladio e P2). Il secondo carteggio comprende 163 documenti sui rapporti SISMI-OLP negli anni 1975-1984, versati a seguito dell’indicazione della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni di declassificare e versare in anticipo anche questi, coperti da segreto di Stato fino al 2014 e poi classificati.

In questo quadro dai contorni così sfumati, di fronte all’evidenza di una difficile (se non impossibile…) certezza circa il contenuto dei faldoni e i ruoli dei protagonisti, bisogna chiedersi come sia possibile proclamare con assoluta certezza che nelle carte non ci sia nulla da scoprire. Basti pensare al ruolo ancora non del tutto chiarito del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa che nell’ambito delle sue indagini su terrorismo internazionale e traffico di armi dava la caccia ad Abu Anzeh Saleh, l’esponente Fplp arrestato per Ortona. Oppure al manoscritto trovato addosso al brigatista rosso Giovanni Senzani al suo arresto, nel quale si leggeva che Arafat, leader indiscusso dell’OLP, riferendosi «agli ultimi attentati gravi in Europa (Sinagoga, Bo e Trieste)», aveva detto che andavano letti in chiave internazionale, come tentativo dell’URSS «di far saltare questa politica europea» e qui certo un ragionamento su quanto stava accadendo con la Libia e Malta, potrebbe anche essere sviluppato, anche alla luce della presenza a Bologna, nei giorni della strage di uomini vicini a Carlos (Ilich Ramírez Sánchez) e di agenti israeliani già da anni sulle loro tracce (vedi documenti declassificati dalla direttiva Renzi).

Ma andiamo ancora oltre, soffermandoci su un secondo trasporto di armi che innescò una nuova ricerca di contatti tra i Servizi italiani e la dirigenza del Fronte popolare per la liberazione della Palestina (Fplp) e allo stesso tempo riaprì la questione dei contatti tra il terrorismo italiano e la galassia terroristica arabo-palestinese. Mi riferisco all’arresto Jousef Nasry el Tamimy, membro del Fplp, a Fiumicino il 5 gennaio 1982 con la tedesca Brigitte Pagendamn e trovato in possesso di 14 detonatori elettrici nascosti in pacchetti di sigarette.

A questo punto è però essenziale riprendere un documento sui rapporti Fplp e terroristi europei inviato dai servizi tedeschi il 29 aprile 1981. Dalla traduzione in italiano, i cui firmatari sono coperti da omissis, si parla di appoggio del Fplp alle Brigate Rosse e Prima Linea, con il coinvolgimento delle ambasciate di Libia, Siria Yemen del Sud. Non sembra perciò così sicuro che Tamimy e Saleh fossero solo in transito. È vero che la provenienza dell’informazione dai servizi segreti impone cautela, ma bisogna altrettanto certamente riconoscere la presenza, nell’ambito dell’organizzazione palestinese, di alcuni rappresentanti competenti a intrattenere rapporti con le organizzazioni terroristiche straniere, come Bibi Ghanem (marito di Rita Porena) e lo stesso Abu Sharif citato dall’agente segreto Stefano Giovannone, nome in codice Maestro e capocentro del Sid e poi del Sismi a Beirut in Libano, nelle informative.

Dal documento dell’aprile 1981 si apprende, comunque, che nel dicembre 1980 il Fplp assisteva in Italia le Brigate rosse e Prima linea, fornendo loro armi e munizioni. La maggior parte degli aiuti logistici arrivava dal Fplp-Sc (Sc sta per “comando speciale”, ndr), già gruppo Wadie Haddad. Il materiale era veicolato attraverso l’ambasciata della Repubblica popolare democratica dello Yemen a Roma, mentre le stesse organizzazioni ricevono aiuti finanziari tramite quelle di Siria e Libia.

Non stupisce affatto che a fare da tramite fosse l’ambasciata dello Yemen del Sud, essendovi in quel Paese gli uffici del Fplp e svolgendosi lì alcuni degli incontri tra Habbash e Carlos.

Ritornando ancora ai documenti di cui sopra, si legge che già Giovannone, a chiusura di un’informativa del 14 aprile 1980 conservata nel fascicolo “Ustica” aveva accennato alla presenza di Carlos a Beirut, negli ambienti del Fplp, ritenendo possibile che l’operazione terroristica minacciata in Italia “sia avocata dagli stessi “autonomi” o comunque da elementi non palestinesi e probabilmente europei, allo scopo di non creare difficoltà all’azione politico-diplomatica in corso da parte palestinese” per il riconoscimento dell’Olp.

Più specifica ancora è la comunicazione del 19 gennaio 1982 del direttore della divisione, riportante la notizia, ricevuta da fonte ritenuta attendibile, di una conferenza terroristica tenutasi a Beirut verso la fine del novembre 1981, pochi mesi prima dell’arresto di Tamimy.

L’incontro sarebbe stato ospitato dall’ufficio del Fplp sotto la presidenza di Habbash, con la partecipazione di rappresentanti delle “organizzazioni terroristiche internazionali” quali Polisario, l’Armata rossa giapponese, il Fronte Dhofar, le Brigate rosse e altre.

Alla luce di tutto ciò, non crede Sig.ra Tobagi che abbia una minima rilevanza approfondire i legami tra le organizzazioni terroristiche palestinesi e quelle italiane, prendendo in considerazione il quadro internazionale, magari partendo da un documento della Questura di Perugia, firmato dal questore Iaselli del 10 agosto 1972, in cui, con una raccomandata urgente al ministro dell’interno Direzione Generale della P.S. e per conoscenza alla Questura di Bologna, si richiedono informazioni su Abu Anzeh Saleh nato ad Amman il 13/8/1949 studente e giordano definito «di accesi sentimenti comunisti farebbe parte del FPLP e durante la permanenza in questa città ha sempre partecipato alle manifestazioni organizzate dal Movimento studentesco e dai partiti di sinistra. Ha svolto intensa propaganda per la lotta di classe e lo sterminio del popolo ebraico, esaltando le organizzazioni guerrigliere palestinesi e mantiene frequenti contatti con esponenti della locale federazione del P.C.I. Elemento facinoroso e pericoloso ha qui partecipato ai tafferugli con elementi greci e italiani verificatesi nel giugno 1971 nonché alle scorribande diurne e notturne».

Quella che Lei definisce “manciata di informative”, approfondendo, aprono a diverse possibilità di ricerca che forse dovrebbero oggi più che mai, data la volontà del governo di desecretare, essere intraprese senza pregiudizi ideologici.

Altra questione rimane quella di Ustica da Lei rapportata nell’intervista «al “cielo di guerra” atlantico non dichiarato», ignorando del tutto ciò che è stato appurato nei tre gradi di giudizio penale e molte volte posto in rilevanza dall’On. Giovanardi lamentando al contrario l’intoccabilità delle sentenze sulla strage di Bologna. Dunque un diverso modus operandi a seconda dei temi affrontati.

Avviandomi alla conclusione, mi permetta un ultimo accenno sulla questione dei depistaggi, anche da lei affrontata nel Suo libro, dove riferisce della nota intervista rilasciata il 19 settembre alla giornalista Rita Porena da Abu Ayad, militante dell’OLP. Il dirigente palestinese in quell’occasione poneva in evidenza la presenza di campi di addestramento per stranieri tenuti dai Kataeb nei pressi di Aqura in Libano, in cui sarebbero passati tedeschi occidentali, italiani e spagnoli.

Mi piacerebbe riuscire, anche con il Suo aiuto, a comprendere quanto presente nelle informative dell’8 e 9 agosto 1980, già desecretate dalla direttiva Renzi (quindi esistenti e non introvabili come da qualcuno affermato). Non sto qui a riprendere un discorso ormai più volte sviscerato da studiosi e giornalisti, interessandomi più che altro comprendere come mai da Roma, e sarebbe utile capire da parte di chi, già dai primi di agosto, venne richiesto a Giovannone di avviare delle ricerche su tali campi e sulla presenza di cittadini europei, usando termini poi ripresi a settembre da Abu Ayad, lasciando intendere dunque un collegamento molto stretto con l’agente segreto italiano, pochi giorni dopo la riunione del 5 agosto 1980 tenutasi a Palazzo Chigi tra il Cis, il Cesis, diversi ministri e rappresentanti dei servizi segreti, della Difesa e delle forze dell’ordine, di cui è stato da poco desecrato il verbale autografo dell’allora ministro della Difesa Lelio Lagorio. Su quest’ultimo documento ci sarebbe ancora molto da ricercare e dibattere, rimandando l’occasione magari a un prossimo articolo.

La ringrazio per l’attenzione, augurandomi di non averLa troppo tediata con le mie perplessità, che mi portano a non avere una certezza granitica, come la Sua, sulle conclusioni raggiunte dalle sentenze riguardanti la strage di Bologna e dai dibattiti sulla questione di Ustica, stragi che hanno devastato l’Italia procurando ferite ancora difficili da rimarginare.

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