skip to Main Content

La Russa super attivo? Vi ricordo l’attivismo di Fanfani

Caso La Russa e non solo. Gli esempi di Fanfani, Fini e Bertinotti. I Graffi di Damato

 

Nella difesa che il presidente del Senato Ignazio La Russa merita, a mio avviso, da questa campagna ormai ossessiva condotta formalmente contro di lui ma in realtà per mettere in crisi l’amica e collega di partito che guida il governo, cioè Giorgia Meloni, non mi lascerò trattenere né dagli errori che egli certamente commette ogni tanto, partecipando per esempio anche ad eventi politici minori o lasciandosi scappare parolacce contro giornalisti dai quali si sente infastidito, né da quell’aria un po’ macchiettistica che è riuscito ad attribuirgli Fiorello imitandone da tempo  la voce.

A proposito, poi, di Giorgia Meloni che tanto l’ha voluto alla seconda carica dello Stato all’inizio di questa legislatura, non solo perché se ne fida ma anche perché ne conosce l’abbastanza lunga esperienza politica, non vorrei che gli avversari la stessero scambiando per la premier, e più giovane, neozelandese Joanda Ardem, appena dimessasi perché dichiaratamente “sfinita” e decisa a godersi meglio la vita, e la figlia, sposando anche il compagno col quale l’ha fatta.

L’Ardem ha impiegato sei anni per “sfinirsi”, ripeto, mentre la Meloni ha trascorso a Palazzo Chigi neppure cento giorni. E non mi sembra neppure segnata dalla sfortuna, viste le misure della sua vittoria elettorale del 25 settembre e la sorpresa fattale dalle forze dell’ordine e dalla magistratura con la cattura di Matteo Messina Denaro: cattura, ripeto, dopo 30 anni di latitanza e non consegna più o meno rassegnata e contrattata dal criminale per le sue condizioni di salute, interessato ormai -per quel che gli rimane da vivere- più a farsi curare al sicuro davvero che a a rischiare un conflitto a fuoco correndo da una clinica privata all’altra.

Rassegnatevi, cari signori dietrologhi, con penna o in toga, figurata o reale. Qui c’è poco da imbastire processi mediatici o giudiziari. Un criminale rassegnato alla resa, e lasciatosi prendere dopo qualche trattativa, quanto meno provvede a chiudere, svuotare e liquidare bene i suoi covi, quanto meno per risparmiare più grane possibili a chi lo ha aiutato per tanto tempo nella latitanza.

Ma torniamo a La Russa, a ‘Gnazio, come lo chiama Fiorello. Egli ha appena elencato in una intervista al Corriere della Sera -“in ordine sparso”, ha detto- quelli che lo hanno preceduto al vertice delle Camere senza rinunciare a fare politica, e non dietro le quinte, ma davanti, sul palcoscenico: Fanfani, Fini, Bertinotti, Grasso, Spadolini, Casini. “Fini e Grasso -ha detto La Russa- hanno addirittura fondato due partiti”: il primo -mi e vi ricordo- dopo avere predisposto o lasciato predisporre nel suo ufficio di presidente della Camera una mozione di fiducia contro il governo e la maggioranza di centrodestra che lo avevano portato al vertice di Montecitorio per mantenere un impegno pre-elettorale, pur essendo nel frattempo maturato l’interesse della coalizione ad avere in quel posto un interlocutore dell’opposizione. E ciò per meglio portare avanti una riforma costituzionale cui si era aperto l’allora segretario del Pd Walter Veltroni evitando in campagna elettorale ogni scontro diretto e personale con Berlusconi, indicato solo come “il principale esponente dello schieramento a me avverso”.

Sarà stato pure “ordine sparso” quello uscito dalle labbra di La Russa nella intervista difensiva concessa al principale giornale italiano, ma quel Fanfani -Amintore Fanfani- messo al primo posto nell’elenco dei predecessori rimasti impegnati nella politica pur da presidenti del proprio ramo del Parlamento è stato ed è rimasto il caso più clamoroso di una leadership di partito combinata con la seconda carica dello Stato.

Nel lontano 1973 fu da presidente del Senato e nel medesimo Senato, in particolare nel Palazzo Giustiniani, che Fanfani convocò tutti i capi delle correnti democristiane alla vigilia di un congresso nazionale per concordarne l’esito, peraltro contrastante con i risultati di tutti i congressi locali già svoltisi. Che avevano confermato il consenso della maggioranza dei delegati  a favore di Arnaldo Forlani ancora segretario del partito e di Giulio Andreotti presidente di un governo di coalizione con i liberali, essendosi i socialisti disimpegnati dal centrosinistra per l’elezione di Giovanni Leone al Quirinale alla fine del 1971 senza il loro consenso.

Forlani, con quegli accordi che presero il nome del palazzo in cui erano stati raggiunti in qualche ora, fu sloggiato da Piazza del Gesù per tornarvi 16 anni dopo, e Andreotti da Palazzo Chigi per tornarvi tre anni dopo, portando peraltro nella maggioranza del suo monocolore non solo i liberali e i socialisti ma anche o persino i comunisti di Enrico Berlinguer.

Fanfani, dal canto suo, dopo avere sostituto Forlani alla segreteria del partito e perduto il referendum contro il divorzio, che fu l’inizio della fine della Dc, ebbe modo di tornare alla presidenza del Senato. Dove nel 1978 fu scomodato non -o non solo- come seconda carica dello Stato ma come uno dei leader più decisivi del partito per partecipare ad una drammatica riunione della Dc che avrebbe dovuto dare via libera al Quirinale per la concessione della grazia ad una dei tredici “prigionieri” terroristi con i quali le brigate rosse avevano proposto di scambiare Aldo Moro, sequestrato 55 giorni prima fra il sangue della sua scorta. Ma i brigatisti rossi preferirono ammazzare l’ostaggio prima di essere messi di fronte alla scelta di accontentarsi o meno della liberazione di una sola “prigioniera”.

Con tutti questi precedenti, peraltro parziali per umane esigenze di spazio, amici mei e loro, ritenete che sia davvero decente -ripeto, decente- la campagna in corso contro ‘Gnazio? Io no, non la considero decente.

Back To Top