Espulso dall’aula di Montecitorio per un’irruzione verso i banchi del governo sventolando la bandiera tricolore contro il ministro Roberto Calderoli, e il suo disegno di legge per l’applicazione delle cosiddette autonomie differenziate introdotte nella Costituzione dalla sinistra nel 2001, il deputato pentastellato Leonardo Donno (nella foto) ne è uscito in carrozzella per una rissa nella quale è rimasto ferito. Il parlamentare sospettato di averlo colpito con un pugno al torace, ma che giura di avere solo tentato di farlo senza riuscirvi, è il leghista Igor Iezzi.
Oltre al pugno che gli ha procurato accertamenti in ospedale, il deputato 5 stelle ha rimediato calci e insulti che hanno permesso alla sua parte politica di protestare contro lo squadrismo, naturalmente fascista, del centrodestra. Dove peraltro la compattezza a favore del provvedimento già approvato dal Senato, dove potrebbe tornare se alla Camera fosse modificato, non è tale neppure di facciata.
Per quanto non nova nella storia del Parlamento, dove si è visto anche di peggio ai tempi, per esempio, dell’adesione alla Nato o della discussione sulla legge elettorale che introdusse negli anni Cinquanta del secolo scorso un premio di maggioranza definito “truffa” dalle opposizioni, la zuffa scoppiata ieri a Montecitorio è stata naturalmente grave. E paradossalmente, per la maggioranza, un soccorso autolesionistico alla parte dell’opposizione appena uscita peggio dalle elezioni europee: quella grillina capeggiata dall’ex premier Giuseppe Conte. Che ora può mescolare le sue annunciate “riflessioni” sulle condizioni in cui ha ridotto il suo partito nelle urne a proteste contro una maggioranza “aggressiva.” O quanto meno sprovveduta nella reazione a gesti o iniziative il cui carattere provocatorio è avvertibile nella espulsione rimediata dal parlamentare pentastellato.
Se alla Camera il clima è quello che si è visto sul tema delle autonomie, anche al Senato la tensione resta alta per lo scontro sul cosiddetto premierato proposto dal governo con quella che la premier Giorgia Meloni ha definito “la madre di tutte le riforme” programmate dal suo governo, comprese quelle in materia di giustizia.
In questi giorni tuttavia l’attenzione principale della presidente del Consiglio è comprensibilmente riservata ad altro: il “suo” G7 in Puglia, ad alta intensità e partecipazione internazionale, peraltro a ridosso di ciò che attende la Meloni in Europa per la definizione dei nuovi assetti al vertice dell’Unione