Israele ha sconfitto strategicamente l’Iran e i suoi più stretti alleati. E’ questa sconfitta che ha provocato la caduta del regime siriano. Ma non c’è ancora un nuovo, reale equilibrio. L’attuale regime a Damasco non è in sé rassicurante. Lo conferma anche con il rifiuto di al-Jolani di stringere la mano al ministro degli Esteri tedesco l’”impura” Annalena Baerbock. Però la frammentazione del paese tra curdi, alawiti, sciiti, sunniti, fa capire come in Siria senza Ankara non si vada nessuna parte. E infatti le reazioni del dopo dicembre ‘24 in Medio oriente e Africa riguardano essenzialmente la Turchia.
L’Autorità nazionale palestinese, che ha arrestato militanti di Hamas e cacciato al Jazeera, rivela la preoccupazione, innanzi tutto di Riad, che i seguaci del fu Yahya Sinwar si saldino ai turchi (e al loro alleato Qatar, proprietario della Tv espulsa dalla Palestina) destabilizzando non solo la Cisgiordania, ma anche Amman. Sempre con il timore di Ankara, Il presidente del Parlamento libanese, Nabih Berri, ha incontrato il ministro degli Esteri francese, Jean-Noël Barrot: anche a Beirut gli stessi Hezbollah devastati da Israele e con il protettore iraniano rovinato, cercano chi freni l’avanzata di Recep Erdogan. Da qui anche la rapida elezione a presidente del generale Joseph Aoun. Intanto Ankara pare voler utilizzare la carta della liberazione dalla prigione dello storico dirigente del Pkk, Abdul Ocalan, per accordarsi con i curdi irakeni, e far decollare un gasdotto che via Siria arrivi nel Mediterraneo.
La mediazione, poi, della Turchia tra Somalia ed Etiopia, che ha frenato uno dei tanti conflitti africani tra due stati entrambi ostili al Cairo, è stato letta anche come una premessa -oltre ai tradizionali rapporti tra il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP) con Hamas via Fratelli musulmani- di tentativi di destabilizzare lo stesso Egitto: così ha detto ʿAbd al-Fattāḥ al Sisi alla televisione.
L’Africa, con i suoi ben 35 conflitti regionali, dal Sub Sahara fino a Mozambico e Nigeria, è ancor più del Medio Oriente il punto nel quale o si trova un nuovo equilibrio o i conflitti esploderanno ancor più fragorosamente. In questo scenario il principale avversario della Turchia oggi potrebbero essere le mire egemonistiche di Cina e Russia: la prima con investimenti e corruzioni, la seconda con le armi. Questa situazione potrebbe consentire all’Occidente (esauritosi l’imperialismo straccione francese espulso non solo dal Sub Sahara ma anche da Senegal e dalla Costa d’Avorio) di trattare con Ankara, anche per conto dell’Egitto e anche di un Maghreb molto preoccupato del ritorno di un imperialismo ottomano, facendo entrare in campo pure un’India, già molto attiva nel Continente nero. La partita è aperta anche se molto complicata. Ed è forte il rimpianto di non poter contare su uomini come quelli che servirono l’impero britannico e che, tra fine ‘800 e inizio ‘900, seppero trovare soluzioni geniali per sistemare gli equilibri in Africa e Medio Oriente.