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Peter Thiel

La missione (salvifica) della Silicon Valley, secondo Peter Thiel

La nuova missione della Silicon Valley tra tecnologia, intelligence e difesa della civiltà occidentale ne "Il momento straussiano" di Peter Thiel (LiberiLibri) letto da Francesco Provinciali

 

Preceduto da un’ampia e approfondita, erudita prefazione di Andrea Venanzoni che introduce il saggio di Peter Thiel come esempio di tecnoteologia politica, il libro che ora la casa editrice Liberilibri diffonde anche in versione cartacea è – come presentato dall’editore – ‘una cavalcata nella mission della nuova Silicon Valley, concepita sempre meno quale spazio esclusivamente economico-finanziario e sempre più come argine contro la stagnazione e la decadenza della civiltà occidentale’. L’autore è decisamente accreditato per proporre una linea ermeneutico-interpretativa delle derive attualizzate negli indirizzi politici di governo e di gran parte dell’immaginario collettivo a stelle e strisce: Peter Thiel è infatti uno dei più influenti venture capitalist della Silicon Valley, già allievo di René Girard e tra i primi giganti del Tech ad aver sostenuto Donald Trump. In questa argomentata narrazione egli traccia le ragioni filosofiche della piena convergenza tra innovazione tecnologica e sicurezza, con ampi riferimenti culturali a Leo Strauss e al tema dell’intelligenza artificiale, a Carl Schmitt e agli algoritmi, alla Palantir Technologies (azienda statunitense specializzata nell’analisi dei big data, fondata nel 2003 dallo stesso Thiel e di sua proprietà) e alla teoria mimetica. Tutto ciò partendo retrospettivamente da John Locke, padre del liberalismo moderno e ampiamente rivisitando la palingenesi ottimista e razionalista dell’Illuminismo che hanno per secoli ispirato il pensiero prevalente americano, una sorta di deriva positiva illimitata che si è fermata bruscamente al Ground Zero.

Ci pensa un doppio incipit dirompente – sia nella presentazione di Venanzoni che nel saggio di Thiel – a ricondurre l’attualità di un ripensamento di strategia di approccio “assiologico e ontologico”: il riferimento diretto al catastrofico attacco alle Twin Towers dell‘11 settembre 2001 segna una frattura, una cesura netta,

ma soprattutto “una epifania dolorosa che si avvita nella grande questione antropologica della natura

umana e del peso della violenza nel cuore della civiltà occidentale”.

L’esempio personale di Locke è istruttivo di quanto sottile sia stato il percorso verso il liberalismo della

Rivoluzione americana. Il modo di argomentare di Locke procede in modo sobrio; non vuole infiammare

le passioni schierandosi nei dibattiti controversi del XVI e XVII secolo. Ma all’esordio del XXI secolo qualcosa di inimmaginabile scalfisce duramente ogni ottimismo e la violenza stravolge ogni deriva di pensiero.

Per Bin Laden, a differenza di Locke, le ardue questioni di moralità e condotta non avevano bisogno di essere rimandate; le risposte sono state chiare e la risoluzione non poteva essere lasciata in sospeso. Bin Laden era un uomo appassionato di ricchezza e potere, tanto che il suo esempio personale ci ricorda i casi limite che Locke ha così facilmente liquidato.

Al contrario …”la politica è il campo di battaglia in cui avviene questa divisione, in cui gli uomini sono costretti a scegliere tra amici e nemici. «I punti più alti della grande politica», dichiara Carl Schmitt, «sono anche i momenti in cui il nemico viene visto, con concreta chiarezza, come nemico».

Quando Bin Laden dichiara guerra agli «infedeli, ai sionisti e ai crociati», Schmitt non consiglierebbe mezze misure ragionate. Egli esorterebbe a una nuova crociata come modo per riscoprire il senso e lo scopo

della nostra vita: prenderebbe a prestito le parole di da Papa Urbano II al Concilio di Clermont, che nel 1096 esortò i suoi impazienti ascoltatori alla Prima crociata: «L’esercito del Signore, quando si precipita sui suoi nemici, non abbia che un unico grido: Dieu le veult! Dieu le veult!». (Dio lo vuole! Dio lo vuole!).

In Strauss invece non ci sono scorciatoie. Il filosofo pratica ciò che predica, i suoi scritti sono palesemente esoterici e difficili da capire, in contraddizione con gli autori del passato che scrivevano libri apparentemente semplici la cui natura esoterica era quindi ancora più oscurata al lettore.

Per questo secondo Thiel occorre ripartire dal binomio dicotomico amico/nemico se si vuole chiarire il rapporto di sostenibilità e compresenza storicizzata tra sicurezza e libertà.

Scaltrito e moderno, il saggio di Thiel spazza via senza mezze misure tutto il ciarpame della dialettica inutile, delle frasi fatte, dell’empatia come atteggiamento risolutivo dei conflitti latenti, in una parola della demagogia chiacchierona e inconcludente che pervade le moderne democrazie che si appoggiano su rituali desueti e inconcludenti, persino tautologici: di fronte ad un messaggio eloquente come quello pervenuto l’11 settembre 2001 bisogna attrezzarsi per fronteggiare la sfida. Un evento inatteso può anche ripetersi, occorre proteggere la libertà di cui si vuol godere con apparati di sicurezza sempre più aggiornati e sofisticati. In ciò consiste dunque la mission della nuova Silicon Valley: in un affinamento delle potenzialità di ‘intelligence’.

Questa chiave di lettura ci fa meglio capire i modi spicci e ultimativi dell’imprinting politico trumpiano: affrontare la realtà, saperla gestire, non restare esclusi dai livelli decisionali in ogni angolo del pianeta, accettare come fatto imposto dalle evidenze contingenti il confronto oppositivo in atto tra islamismo e Occidente.

L’incedere della narrazione espositiva e propositiva di Thiel oscilla tra richiami filosofici retrospettivi (per criticarli ma per coglierne anche spunti di proposta e ripensamento) , consapevolezza di un aut -aut che non ammette digressioni (il pensiero occidentale deve interiorizzare e metabolizzare i pericoli insiti nell’islamismo che non conoscerà mai redenzione conciliativa) , fragilità del costrutto ideologico delle democrazie moderne dove i concetti di apertura, tolleranza, dialogo, confronto possono diventare un vulnus che facilita la messa in discussione delle radici storiche del pensiero occidentale, fino a legittimare incautamente un ribaltamento assiologico e di prospettiva.

Nel fare ciò Thiel non sempre è così esplicito, forse egli stesso condizionato dai cascami ideologici del pensiero debole declinante di fronte all’invadenza culturale dell’Islam. Ci sono alcuni passaggi criptici che occorre decifrare per coglierne il significato più autentico ed ultimativo.

L’Occidente ha perso fiducia ed ora appare incerto e vulnerabile, il mondo stesso non è certo finito e non è facile dire quanto durerà il crepuscolo dell’età post-moderna.

Il terrorismo non è stato ancora sconfitto (e forse non lo sarà mai) perché risorge dalle ceneri della sua apparente distruzione: è ancora tra noi e lo riscontriamo nei fatti che accadono in ogni parte del mondo.

Peter Thiel evoca frequenti rivisitazioni storiche e filosofiche, ritiene fondative e dirimenti le analisi di Leo Strauss e Carl Schmitt, tuttavia alla fine sembra prevalere nella parte conclusiva del suo saggio una visione meno ideologica e più pragmatica delle cose, tra violenza incontrollabile, radicalismi, fanatismo religioso, conversione fattuale delle prediche ideologiche declinate in interessi economici, la pace terrena e quella del regno di Dio restano pur sempre obiettivi anteposti ad ogni altra scelta. Il problema consiste nel fare i conti con sé stessi ma nel doverli fare continuamente anche con gli altri.

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