L’iniziativa dei quarantaquattro parlamentari del Pd, rivolta ad ottenere dai vertici sportivi italiani ed internazionali l’esclusione degli atleti israeliani da ogni competizione, vorrebbe alimentare la prassi asimmetrica da qualche tempo in atto nello sport. Si escludono i russi ma si accettano gli iraniani e molti altri rappresentanti di Paesi critici, per non parlare della Cina che, nonostante le accuse di repressione delle minoranze etniche, i giochi olimpici (estivi e invernali) li ha perfino ospitati e organizzati. Si potrebbe generalmente obiettare che gli eventi sportivi dovrebbero rimanere una zona franca rispetto ai conflitti per consentire, anche nelle peggiori condizioni, dei canali di dialogo tra i popoli.
E se bastassero i rilievi sugli errori compiuti dai governi in relazione ai diritti umani, faremmo fatica a trovare qualcuno che spenga la luce degli stadi. Nel caso di Israele, il cattivo gusto è spiegabile solo con quella mancanza di memoria che caratterizza tanta parte della politica odierna. Per chi invece conserva il ricordo degli eventi tragici o li conosce attraverso la lettura, il nesso tra sport e Israele conduce subito alla strage di Monaco del 1972. Un commando di Settembre Nero, organizzazione terroristica palestinese, sequestro’ molti atleti israeliani. Il bilancio fu di 17 morti tra i quali tutti gli 11 israeliani sequestrati. Alcuni di questi morirono dopo indicibili torture. Come nel 7 ottobre. Durante l’operazione i giochi proseguirono fermandosi solo per un giorno dopo la sua tragica conclusione.
La tesi della esclusione dalle competizioni sportive degli atleti di Israele ha quindi un sanguinoso precedente che dovrebbe indurre a più ponderate iniziative per manifestare le pur legittime critiche a quel governo. Ogni volta che ci si infila nelle complessità del medio oriente con l’approccio della tifoseria sportiva si pestano facilmente i residui maleodoranti di una storia che sembra non finire mai.