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Tennis

La lezione di Berrettini, Errani, Paolini e Sinner

Siamo diventati una superpotenza del tennis, dove non toccavamo palla da quel dì, con la stessa grinta e umiltà, capacità e creatività delle generazioni che resero possibile il miracolo economico tra gli anni Cinquanta e Sessanta. Con la stessa rettitudine. Il taccuino di Guiglia.

Siamo campioni e campionesse del mondo, che vogliamo di più?

Dopo aver conquistato, e per la seconda volta di fila, la Coppa Davis, gli azzurri e le azzurre del tennis -a loro volta fresche di vittoria nella corrispondente competizione internazionale a squadre, Billie Jean King Cup-, stanno facendo impazzire di gioia gli italiani. Esattamente come ai Mondiali di calcio vinti nel 1982 e nel 2006, anche se l’Italia pigliatutto del tennis non è accompagnata dai fragorosi caroselli per strada.

Ma nelle case si festeggia e ci si commuove davanti alla tv, perché questa ventata di felicità portata da ragazzi e ragazze che si rivelano imbattibili sull’onda dell’anno perfetto di Jannik Sinner, il campione dei campioni del mondo, ha molto da dire al nostro Paese. Ben al di là della storica impresa sportiva e delle partite che sono state giocate a un livello altissimo ed emozionante, non solo per il talento individuale e di gruppo mostrato all’universo.

In realtà, questi atleti incarnano come meglio non si potrebbe uno degli articoli più belli e poco ricordati della nostra Costituzione, il 54, che è dedicato ai cittadini a cui sono affidate “funzioni pubbliche”, e che sono tenuti a esercitarle “con disciplina e onore”.

Il successo senza precedenti e unico nella storia internazionale del tennis, cioè l’aver fatto man bassa nello stesso anno di Davis maschile e femminile, delle finali Atp fra gli otto giocatori più forti al mondo, di un oro e un bronzo alle Olimpiadi, di due titoli Slam primeggiando, inoltre, nelle classifiche di uomini e di donne, è frutto proprio della “disciplina e dell’onore”. Quel lavoro discreto e diligente dentro e fuori dal campo, quella dedizione personale e collettiva che ragazzi, dirigenti, federazione e circoli sparsi per la Penisola hanno messo per anni – eravamo rimasti alla nostalgia dei Panatta e Bertolucci, anni Settanta – per risalire la china fino alla vetta del mondo.

C’è, dunque, la lezione che è la squadra a rendere i singoli straordinari.

È la fraterna condivisione degli obiettivi, ma pure degli alti e bassi – si vedano gli infortuni subiti da Matteo Berrettini o le fatiche di Jasmine Paolini, atleti tornati a essere fuoriclasse -, a forgiare il trionfo.

Vadano, dunque, a lezione di tennis, i nostri partiti, per capire “come si fa”. Come si fa a valorizzare un grande Paese con passione e intraprendenza, senza le sciatterie, verbosità, demagogie che abbondano nel “campo” della politica. Investano nell’Italia la divertente serietà di Sinner e compagnia vincente nel loro gioco.

Siamo diventati una superpotenza del tennis, dove non toccavamo palla da quel dì, con la stessa grinta e umiltà, capacità e creatività delle generazioni che resero possibile il miracolo economico tra gli anni Cinquanta e Sessanta. Con la stessa rettitudine.

Ecco l’altro insegnamento: quando gli italiani si impegnano perché il gioco s’è fatto duro, quando si uniscono anziché dividersi, non c’è partita per nessuno.

(Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova)
www.federicoguiglia.com

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