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Vi racconto la guerra dell’Italia a Stoltenberg della Nato

Il pieno dei no in Italia contro il segretario generale della Nato. I Graffi di Damato.

 

Nel governo e nella maggioranza Matteo Salvini è stato naturalmente il più lesto, esplicito e duro a contestare la possibilità auspicata dal segretario generale della Nato, il norvegese Jens Stoltenberg, di autorizzare l’Ucraina ad usare le armi fornitele dagli occidentali non solo per abbattere i missili russi che da più di due anni la colpiscono, ma anche per colpire la basi dalle quali essi provengono, nel territorio di Putin.

Salvini ha intimato a Stoltenberg, che in norvegese non significa stolto, di smentire, scusarsi e perfino dimettersi, lasciando in anticipo un mandato peraltro scaduto o in scadenza. Per il quale era insistentemente circolato sino all’anno scorso il nome dell’ex premier italiano Mario Draghi, prima che egli entrasse, a torto o a ragione, nella gara alla successione, invece, alla tedesca Ursula von der Leyen alla Commissione esecutiva dell’Unione Europea. O al belga Charles Michel alla presidenza del Consiglio Europeo. O ad un supercommissariato economico, sempre a Bruxelles, semmai si dovesse trovare un accordo in questo senso fra i governi dei paesi comunitari.

Se Salvini è stato – ripeto – il più esplicito e duro contro Stoltenberg, peraltro ricevuto recentemente dalla premier Giorgia Meloni a Palazzo Chigi, l’altro vicepresidente del Consiglio, e anche ministro degli Esteri, Antonio Tajani è stato puntiglioso nel negare che l’Italia, tra i fornitori di armamenti all’Ucraina, sia o si senta in guerra contro la Russia. Un po’ come quella donna che – scherzava la buonanima di Enzo Biagi – si sente solo “un po’ incinta” quando sospetta o addirittura scopre di esserlo.

Neppure il ministro della Difesa, e fratello d’Italia come la premier, Guido Crosetto è stato accomodante col segretario generale della Nato quando ha raccontato o sostenuto che, a dispetto della carica, non rappresenti la “collegialità” dell’alleanza atlantica. E non si è forse spinto oltre, il ministro, solo per trovarsi in terapia anti-pericardite prescrittagli dopo un po’ di malori, l’ultimo dei quali al Quirinale.

Se queste sono state le reazioni nella maggioranza, figuratevi quelle nello schieramento delle opposizioni. Dove l’unica non dico a convenire ma a riconoscere la concretezza del problema sollevato dal segretario generale della Nato è stata l’ex ministra degli Esteri Emma Bonino. Che, per quanto da lui rimossa o non confermata nel 2014 alla Farnesina, dove era stata mandata da Giorgio Napolitano su proposta del premier Enrico Letta, affronta le ormai imminenti elezioni europee in alleanza con Matteo Renzi. Il tempo, si sa, può non trascorre inutilmente.

Tutte le altre componenti dell’opposizione volenterosamente considerata al singolare sono notoriamente o contrarie agli aiuti militari all’Ucraina, come nel caso di Giuseppe Conte, o sofferenti, come nel caso del Pd di Elly Schlein. Che non a caso si vanta, fra i malumori anche di chi l’ha aiutata a scalare la guida del partito, di avere candidato nelle liste del Nazareno alle elezioni europee dell’8 e 9 giugno fior di contrari o contrarie al persistente sostegno all’Ucraina in un’aggressione che Putin minaccia ogni tanto di continuare ricorrendo anche alle armi nucleari “tattiche”, come le chiamano al Cremlino.

Insomma, scherzando ma non troppo si può sostenere che il segretario generale, e uscente, della Nato è riuscito nel miracolo di fare spuntare in Italia una specie di politica bipartisan, mista di maggioranza e di opposizione, comoda nel conflitto in Ucraina più a Putin che a Zelensky. Un Putin che può un po’ leccarsi i baffi che non ha pensando alla sicurezza delle basi russe dalle quali partono incessantemente e spietatamente i suoi missili contro un paese pseudo-nazista, secondo il Cremlino, ma colpevole solo di essergli limitrofo e non subordinato. E per giunta ostinato nel resistergli pur tra i ritardi e le incertezze dell’Europa formalmente pronta ad accoglierlo e proteggerlo.

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