Siamo davvero isolati in Europa? Una risposta immediata e semplice, frutto di osservazione empirica, porterebbe a rispondere di sì: abbiamo posto dei problemi sul tavolo europeo e non abbiamo trovato alleati disposti a sostenerci, né consensi. Una disamina più attenta e articolata potrebbe, tuttavia, portarci a conclusioni meno univoche. Più nel dettaglio: i due problemi all’apice dell’agenda italiana a Bruxelles sono quelli della crescita (e di una più equa redistribuzione dei suoi dividendi) e dell’efficace gestione, non solo emergenziale e securitaria, dei flussi migratori.
Al di là delle specifiche dinamiche comunitarie, si tratta di temi acuti, condivisi mondialmente e alla base di molte criticità fra Governi e governati anche in altri Paesi europei. È probabile che la metodologia che abbiamo adottato nel richiamarne l’urgenza abbia scontato alcuni limiti nei toni e in uno spirito in qualche misura più rivendicativo, parso meno teso alla ricerca di soluzioni consensuali o comunque di compromesso. Sarà opportuno trarne per il futuro ogni utile insegnamento, sia sul piano formale sia su quello della tattica negoziale. A maggior ragione, alla luce dell’attuale contesto internazionale che postula un ripensamento delle modalità di promozione e tutela dei rispettivi interessi nazionali. Si fa poca strada da soli e senza un esame realistico delle proprie carte negoziali.
Sarebbe difficile, d’altra parte, sottovalutare i costi dell’isolamento – ammesso che sia effettivamente perseguito – per un Paese come il nostro, che ha nelle esportazioni nell’area euro il cardine del suo sviluppo economico, nell’integrazione con le altre grandi democrazie occidentali la garanzia della sua stabilita politico-sociale, nel “vincolo esterno” e nella convergenza un ancoraggio efficace per i conti pubblici e la produttività del sistema economico. E non saremmo neppure troppo credibili nel reclamare, come facciamo, più solidarietà europea nella gestione dei rischi sistemici in economia e nelle politiche securitarie e d’immigrazione, se facessimo poi mancare il nostro contributo, peraltro essenziale, al rispetto collettivo delle regole e alle misure di integrazione.
Ma la questione del nostro presunto isolamento non si esaurisce qui e può essere esaminata anche da un’angolazione diversa e più ampia. Appare, infatti, oggi ineludibile interrogarsi sull’adeguatezza delle Istituzioni e delle politiche e prassi che esse esprimono (che si tratti di Unione Europea o di Stati membri) a fornire risposte all’altezza delle aspettative dei cittadini europei. Come dimostra il caso francese, non è affatto detto che una ricetta a base di Istituzioni forti e soluzioni tradizionali porti a esiti condivisi dai cittadini.
In un simile contesto, il “caso Italia” può dunque acquisire una valenza nuova e apparire meno eccentrico di quanto non possa sembrare a prima vista. È difatti ormai evidente come le istanze dei cittadini europei presentino un crescente grado di trasversalità e vengano espresse in modo tutto sommato affine, spesso ben al di là di quanto le contrapposizioni fra i Governi lascino supporre. Francia e Italia, così diverse, si trovano paradossalmente ad affrontare attese e rivendicazioni non dissimili.
Le prossime elezioni europee potranno offrire un importante momento di verifica: si tratterà di trovare un equilibrio – tutt’altro che scontato – tra famiglie e coalizioni politiche tradizionali, talvolta restie a sperimentare soluzioni nuove, e ambizioni di forze politiche che si considerano interpreti più autentiche delle istanze degli elettori. Senza sopravalutare le effettive possibilità dei movimenti d’ispirazione populista a guadagnare terreno elettorale e delle forze più tradizionali a perderne, è verosimile che la situazione nel Parlamento Europeo dopo le urne di maggio possa divergere dall’attuale. Anche se la misura del cambiamento potrebbe essere meno dirompente di quanto si immagini – in ragione dell’intrinseca complessità di un’alleanza populista europea e del relativo rifiorire dello spirito europeo confermato da recenti sondaggi – la questione del cambiamento dei toni e della sostanza politica è ormai sul tavolo. E resterà – indipendentemente da quella che sarà la maggioranza nel nuovo Parlamento europeo – il nodo di fondo: quello della necessità di un aggiornamento delle ricette politiche e delle formule di Governo, per renderle coerenti con le attese popolari. Crescita, immigrazione, sicurezza saranno i parametri sui quali Europa e Governi saranno giudicati.
La scommessa (e l’auspicio) è che l’attuale divaricazione tra forma e sostanza, tra Istituzioni e cittadini, tra tradizione politica e aspettative tenda a ridursi e che possa avviarsi pacificamente nei Paesi europei un nuovo percorso condiviso. Brexit, la presidenza Trump, gli esiti elettorali italiani, la gente nelle piazze francesi, che hanno colto molti di sorpresa, testimoniano che un problema trasversale esiste e postulano l’urgenza di ricomporlo. In questa diversa prospettiva, l’isolamento italiano potrebbe rivelarsi un’illusione ottica e dissolversi per rivelare il vero problema comune: quello di come ricreare un nuovo rapporto di fiducia tra le Istituzioni europee, i Governi e i loro cittadini.