Israele si prepara a varare il nuovo budget con un preoccupante quadro macroeconomico segnato dal vistoso aumento delle spese belliche, da una crescita anemica del Pil e da un deficit che ad agosto ha raggiunto l’8%. Ecco cosa scrive Bloomberg su una sfida che attende dietro l’angolo non solo il ministro delle Finanze Smotrich ma anche e forse soprattutto il premier Netanyahu.
I dati scoraggianti di Israele
Gli ultimi dati divulgati dall’ente nazionale per lasStatistica certificano il malessere economico di Israele alla vigilia ormai del primo anniversario del conflitto a Gaza e nel Nord del Paese.
Come riporta Middle East Monitor, il Pil è in flessione, con l’ente che ha tagliato le previsioni di crescita dall’iniziale 1,2% allo 0,7. Ma è il deficit a preoccupare di più, essendo arrivato a un livello dell’8% in agosto segnando una costante progressione dal 7,6 di giugno al 6,2 di marzo fino al 4.1 dello scorso dicembre.
Nel solo mese di agosto, scrive ancora il Middle East Monitor, il deficit si è accresciuto di ben 3,2 miliardi di dollari.
Brutti segnali anche dalle esportazioni di beni e servizi, crollate dell’8,4% nel secondo semestre di quest’anno a fronte di un parallelo calo delle importazioni del 9,3%.
Che farà ora Smotrich?
Se a questi dati aggiungiamo l’andamento negativo dell’inflazione e della disoccupazione, tocchiamo con mano i nodi davanti ai quali si trova il governo e in particolare il suo ministro delle Finanze Bezalel Smotrich.
Il ministro si è visto costretto persino a ridurre i sussidi statali per gli uomini ultraortodossi esortandoli a lasciare gli studi rabbinici e a trovarsi un lavoro.
Nei piani di Smotrich ci sarebbe anche il taglio dei benefici fiscali per i coloni della West Bank.
Il dilemma di Netanyahu
Questa situazione rappresenta una brutta gatta da pelare anche per Netanyahu, sottolinea Bloomberg che ricorda come da un lato lo stesso Bibi non abbia esitato 21 anni fa ad attuare drastici tagli di spesa quando era ministro delle Finanze e dall’altro come gli ebrei ultraortodossi e i coloni rappresentino il bacino elettorale chiave della coalizione di governo che non può permettersi di perdere il loro sostegno.
La proposta di Smotrich
È su questo sfondo problematico che si inserisce la prima proposta di budget presentata da Smotrich il 3 settembre.
Un budget che, secondo Bloomberg, è stato scritto all’insegna della cautela e della responsabilità e che si fonda su tagli e aumenti delle tasse piuttosto che sul ricorso al debito.
Come annunciato dallo stesso ministro, “punteremo a un taglio del 4% di deficit e faremo aggiustamenti permanenti per un totale di 35 miliardi di shekel”, pari a 9,3 miliardi di dollari.
L’ostacolo sindacale
Ma davanti al piano c’è un ostacolo che si chiama sindacati, pronti a mettersi di traverso davanti alla proposta di congelare i salari del settore pubblico e di ridurre le provvidenze del welfare.
La controproposta del principale sindacato israeliano è di ricorrere piuttosto alla chiusura di certi uffici governativi e all’eliminazione dei finanziamenti a pioggia destinati alle scuole religiose e all’ampliamento delle colonie.
Il ruolo del premier
Lo scontro sociale che si prefigura è tale che richiederà un’uscita dall’ambiguità e una decisa presa di posizione da parte di Netanyahu.
A sottolinearlo a Bloomberg è la sua biografa Mazal Mualem, convinta che spetterà proprio al primo ministro di tagliare il nodo gordiano. “Netanyahu capisce che un collasso economico segnerebbe la fine della sua carriera politica”, spiega Mualem.
Secondo l’analista del quotidiano finanziario The Marker Meirav Arlosoroff, non è escluso invece che Netanyahu decida di rischiare puntando o sul favorevole esito delle presidenziali Usa o su una maggiore indulgenza dei mercati nella speranza che ne perdonino i peccati in tempi di guerra.