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Isis, che cosa succede in Nigeria

Gli Usa la notte di Natale hanno lanciato missili su campi ISIS nel nord-ovest della Nigeria, in un'operazione congiunta pianificata da mesi per contrastare il terrorismo jihadista, motivata da Washington come difesa dei cristiani. Tutti i dettagli

Gli Usa la notte di Natale hanno lanciato missili su campi ISIS nel nord-ovest della Nigeria, in un’operazione congiunta pianificata da mesi per contrastare il terrorismo jihadista, motivata da Washington come difesa dei cristiani. Tutti i dettagli

 

 

La sera di Natale gli Stati Uniti hanno lanciato un’operazione militare congiunta contro campi di militanti legati all’ISIS nel nord-ovest della Nigeria.

L’attacco, annunciato dal presidente Trump come una risposta decisa alla violenza che colpirebbe soprattutto i cristiani, ha coinvolto missili scagliati su obiettivi nello stato di Sokoto e ha causato, secondo valutazioni iniziali americane, diverse vittime tra i jihadisti.
Pianificato da diverse settimane con la collaborazione delle autorità nigeriane, il raid riflette le tensioni accumulate tra Washington e Abuja sulla sicurezza delle comunità religiose.
Mentre Trump e il segretario alla Guerra Hegseth hanno presentato l’attacco come un duro colpo al terrorismo islamico radicale, il governo nigeriano insiste: si tratta di una lotta comune contro l’estremismo, senza connotazioni religiose specifiche.
Il contesto della violenza in Nigeria rimane infatti complesso, intrecciato a fattori etnici, economici e criminali che vanno ben oltre la semplice divisione tra cristiani e musulmani.

I DETTAGLI SULL’OPERAZIONE MILITARE USA IN NIGERIA

L’attacco è scattato con missili Tomahawk lanciati da una nave americana nel Golfo di Guinea che hanno centrato due campi di militanti nello stato di Sokoto, al confine con il Niger.
Come riporta la CNN, l’US Africa Command (AFRICOM) ha parlato di un’azione coordinata con le forze nigeriane e di “molteplici terroristi dell’ISIS uccisi”.
La BBC descrive il terrore tra i residenti dei villaggi vicini, come Jabo: esplosioni assordanti hanno scosso le case, e in molti hanno pensato a un aereo precipitato, mentre immagini sui social mostravano campi in fiamme.
Il New York Times aggiunge che sono stati usati oltre una dozzina di missili, in un’operazione che ricorda i recenti raid americani contro l’ISIS in Siria.

GLI OBIETTIVI DELL’OPERAZIONE

I target erano campi controllati da gruppi affiliati all’ISIS, in particolare il Lakurawa, una fazione relativamente nuova e pericolosa.
Secondo l’Associated Press, questo gruppo – un ramo dell’ISIS-Sahel – si è radicato nel nord-ovest nigeriano, consolidandosi nel 2018 e intensificando gli attacchi negli ultimi 18-24 mesi su comunità remote e forze di sicurezza.
Reuters spiega che questi militanti usano le foreste di Sokoto come basi per imporre le proprie regole.
Come scrive Bloomberg, il presidente aveva minacciato interventi già a novembre, accusando il governo nigeriano di non fare abbastanza e designando il Paese come “nation of particular concern” per violazioni della libertà religiosa. Abuja, però, ribatte che la violenza non ha un unico volto religioso e colpisce indistintamente.

COME NASCE L’ATTACCO USA IN NIGERIA CONTRO ISIS

Non si è trattato di un’azione impulsiva. Il ministro degli Esteri nigeriano Yusuf Maitama Tuggar, intervistato dalla BBC, ha rivelato che l’operazione era in cantiere “da parecchio tempo”, e si è basata su informazioni di intelligence fornite proprio dalla Nigeria.
Il Guardian racconta i dettagli: Tuggar ha avuto una telefonata di 19 minuti con il segretario di Stato USA Marco Rubio, ha ottenuto il via libera dal presidente Bola Tinubu e poi c’è stato un secondo breve colloquio con Rubio.
Reuters segnala che dagli Stati Uniti erano partiti voli di ricognizione sull’area già a fine novembre, mentre il Nyt conferma che, sempre il mese scorso, su ordine di Trump, l’AFRICOM aveva elaborato varie opzioni militari, inclusi raid aerei su campi noti. Tutto, come sottolinea l’AP, nel rispetto della sovranità nigeriana e del diritto internazionale.

COSA HANNO DETTO TRUMP E HEGSETH

Trump ha annunciato il raid su Truth Social con toni trionfali, definendolo un “colpo potente e letale” contro la “feccia terrorista dell’ISIS” che starebbe massacrando “principalmente cristiani innocenti”.
Come riporta Reuters, il presidente ha aggiunto che aveva avvertito i militanti: se non avessero fermato la strage, avrebbero pagato caro, e “stanotte è successo”.
Il segretario alla Guerra Pete Hegseth, su X, ha rilanciato, scrivendo che il presidente era stato chiaro già il mese scorso – l’uccisione di cristiani innocenti deve finire – e “l’ISIS l’ha scoperto proprio a Natale”, concludendo con un “di più ne arriveranno” e concludendo con un “Merry Christmas” rivolto anche alla cooperazione nigeriana.

IL CONTESTO NIGERIANO

La Nigeria combatte da oltre un decennio una pluralità di gruppi jihadisti – Boko Haram, ISWAP nel nord-est, Lakurawa e altri nel nord-ovest – ma il quadro è molto più articolato.
Come spiega la CNN, accanto agli attacchi a motivazione religiosa ci sono conflitti etnici tra pastori musulmani e agricoltori cristiani per terra e acqua, rapimenti per riscatto da parte di bande criminali e tensioni intercomunitarie.
Il Guardian cita i dati ACLED: nel 2025 si sono registrati quasi 6.000 incidenti violenti, metà contro civili, con la maggior parte delle vittime musulmane secondo varie analisi.
La BBC intervista esperti come Bulama Bukarti, analista della sicurezza, che descrive il Lakurawa come un gruppo emergente che impone leggi rigide, ma ricorda che le vittime attraversano tutte le fedi.
Il New York Times evidenzia episodi come l’attentato suicida in una moschea la vigilia di Natale, attribuito a Boko Haram, a dimostrazione che i musulmani sono spesso nel mirino.
Gli analisti concordano: raid isolati possono interrompere temporaneamente le operazioni jihadiste, ma le cause profonde – assenza dello Stato, povertà, competizione per le risorse – richiedono soluzioni più ampie.
E mentre Trump insiste sulla narrativa della persecuzione cristiana, voci nigeriane, da leader religiosi a ex parlamentari, ribadiscono che il terrorismo non sceglie le vittime in base alla sola fede.
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