Dalla Campania alla Sardegna, si allarga il bacino dei detrattori della riforma dell’autonomia differenziata. Le preoccupazioni riguardano i rischi, per le regioni meno ricche e meno sviluppate, di restare indietro e ritrovarsi impoverite da un ammanco di risorse. Un’Italia a più velocità che spaventa quanti vorrebbero arrestare il processo della riforma.
“È un sud che non crede in sé stesso, e fa male”. A parlare così è il giurista Giovanni Guzzetta, costituzionalista e componente del CLEP, il comitato incaricato di determinare i Lep, in questa conversazione con Start Magazine.
Secondo i critici dell’autonomia differenziata, l’aumento dei poteri delle regioni andrebbe a detrimento dell’unità nazionale. È così?
Formulate così mi sembrano critiche totalmente astratte. Inoltre, sono in contrasto con quello che prevede la Costituzione: cioè che possano esserci maggiori forme di autonomia per le regioni che lo richiedono, dopo che, chiaramente, abbiano superato il processo di approvazione. Francamente non capisco il significato di queste obiezioni, per lo meno non sul piano giuridico. Certo si può criticare la Costituzione. Poi andrebbe spiegato perché andrebbero a detrimento dell’unità nazionale o di alcune regioni. Detto così mi sembra un po’ astratto.
Su questo punto è intervenuto il presidente della Corte dei Conti della Campania Michele Oricchio, che si è detto preoccupato perché “alcune zone sarebbero condannate a restare senza risorse a meno che non si provvederà a individuare maggiori dotazioni finanziarie per assicurare i medesimi livelli essenziali delle prestazioni”.
Semplicemente questo non è quello che prevede la legge. La legge prevede esattamente il contrario: cioè che i livelli essenziali delle prestazioni siano assicurati a tutte le regioni, anche a quelle che non accedono all’autonomia e che sia garantito un livello equivalente di risorse.
Perché i Lep sono centrali nella riforma dell’autonomia differenziata?
La Costituzione stabilisce che i Livelli essenziali di prestazione vengano definiti con legge dello Stato e garantiti a tutti i cittadini, su tutto il territorio nazionale. Questa è una previsione contenuta in Costituzione dal 2001. Sono passati 23 anni, molti settori sono ancora privi di Lep, quindi non è certo l’autonomia differenziata a introdurre o ritardare i Lep. Noi stiamo assistendo all’inattuazione della Costituzione.
Cosa cambia con l’autonomia differenziata?
La Riforma dell’autonomia differenziata condiziona la concessione di autonomia alla preventiva predisposizione dei Lep. Questo ha determinato un’accelerazione nell’individuazione di questi livelli essenziali. Quindi, in questo momento, il processo di autonomia differenziata sta promuovendo l’unificazione nazionale, perché sta agevolando la definizione delle prestazioni da garantire uniformemente in tutto il territorio.
Quali sono gli ambiti nei quali c’è un deficit maggiore nella determinazione dei Lep?
A parte la sanità, i servizi sociali e l’istruzione, tutti gli altri. Quindi praticamente in tutti i settori c’è una carenza di livelli essenziali.
Quindi la riforma potrebbe essere una buona occasione per sanare questa falla.
Assolutamente sì. Lo deve essere perché altrimenti non può essere attuata, è la condizione perché si possa concedere l’autonomia differenziata.
Eppure anche la neo-eletta presidente della Sardegna, Todde, si è detta preoccupata dalla riforma dell’autonomia differenziata. Addirittura, crede che la riforma “indebolisce tantissimo l’autonomia della Sardegna perché il fatto di poter contrattare quelle che sono le materie di cui occuparsi non è una cosa che può essere utile, soprattutto per le regioni a statuto speciale come la mia”. Lei cosa ne pensa?
Mi sembrano affermazioni molto assertive di cui non capisco bene il senso. Le Regioni a statuto speciale sono già forme di autonomia differenziata. Peraltro, i loro statuti possono essere modificati. È strano che ci sia un’obiezione contro la differenziazione da parte della Presidente di una Regione che gode già in regime differenziato.
Come abbiamo visto molte critiche e preoccupazioni per la riforma sono arrivate da esponenti delle istituzioni del sud Italia, come il presidente della Regione Campania De Luca. Perché c’è questo scetticismo così diffuso?
Io penso che sia perché il sud non crede in sé stesso e, da meridionale, questa è la cosa che più mi dispiace, più mi indigna. Il sud non crede di essere in grado di accettare la sfida e di potenziare le facoltà e le potenzialità che ha.
C’è paura di essere lasciati soli e di non saper camminare sulle proprie gambe.
Esatto. Peraltro, l’autonomia differenziata non peggiorerebbe le condizioni delle regioni che restano nel regime ordinario. Semplicemente consente ad altre di fare quella scommessa che altre regioni non vogliono fare. Tra l’altro, qualche anno fa, la Campania aveva fatto una richiesta di autonomia differenziata. Quindi mi pare che si sia cambiata opinione su questo punto.