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Io, l’America e l’11 settembre. Parla Antonio Martino

Conversazione di Paola Sacchi con l'ex ministro della Difesa, Antonio Martino

 

“Me lo disse allarmata mia moglie, che è americana, appena lo apprese dalla TV. Decidemmo poi di mandare le truppe a Kabul. Era la Brigata Julia, che si fece conoscere per la sua eccellenza. Per la verità, al premier Berlusconi lo dissi subito dopo aver deciso. E lui, come sempre con me: “Hai fatto la cosa giusta”. Le responsabilità del disastroso ritiro sono tutte di Obama, il peggior presidente Usa, e di Biden”.

Parla, nel giorno del ventennale dell’11 settembre, per Startmag, Antonio Martino, campione del pensiero liberale, allora nel gotha del secondo governo di Silvio Berlusconi, come ministro della Difesa.

Professor Martino, che ricordo anche personale ha di quel giorno?

L’11 settembre 2001 ero ministro della Difesa da tre mesi. La mattina andai in aereo a Capodichino e poi al porto dove, imbarcatomi su una nave militare assistetti a un’esercitazione della Marina militare, molto bella. Tornato a Roma, partecipai ad un incontro col personale della Difesa tunisina. Tornai quindi a casa e feci una doccia. Mentre ero sotto l’acqua, sentii mia moglie chiamarmi con una voce allarmata. Mi asciugai alla meglio e andai da lei, che guardava in TV uno spettacolo allucinante: l’attacco alle Torri gemelle. Ricevetti subito dopo una telefonata, che mi convocava al Consiglio dei ministri. Andai e sentii Giuliano Urbani affermare con sicurezza che il mondo non sarebbe più stato lo stesso. Mangiai un panino a palazzo Chigi e mi precipitai a palazzo Baracchini per un incontro col mio omologo tunisino. Date le circostanze, ridussi al minimo il tempo dell’incontro e, esausto, tornai a casa. Commentai con mia moglie, che è americana, l’accaduto e ci trovammo d’accordo che fosse stata una grossa sciagura. Sentimmo in televisione il presidente Bush fare dichiarazioni durissime, accolte dalla stampa e dalla pubblica opinione con forte consenso. Il tragico accaduto, tuttavia, ebbe per me conseguenze ottime. Nei primi mesi del mio mandato ministeriale, infatti, avevo dovuto occuparmi del vertice ministeriale NATO che si doveva tenere a Napoli a settembre. Turbati dai fatti del G8 di Genova, i presidenti della Repubblica e del Consiglio erano preoccupati e contrari a che si tenesse a Napoli. Cercai, invano, di spiegargli che una Repubblica che non riesce a garantire la sicurezza di 200 metri di marciapiede non è una cosa seria. Berlusconi suggerì di farlo al casinò di Saint Vincent. Mandammo, quindi, un’alta delegazione in Val d’Aosta che riferì che il posto non era adatto. Al che Berlusconi replicò che lo avrebbe fatto sistemare a spese sue. Quando raccontai la cosa a mia madre mi rispose che non era nemmeno in Italia! Siamo nati più vicini a Tunisi che a Roma; quindi credo che ci sia consentito sapere poco della Val d’Aosta. La tragedia dell’11 settembre risolse il problema perché il vertice fu rinviato, chiudendo una questione che mi aveva tormentato per mesi.

Lei ha ricordato che l’Italia per prima dopo gli Usa mandò le truppe a Kabul. Che ricordo ha di questa decisione di così convinta adesione alla guerra degli Usa e gli alleati contro al-Qaeda?

Per la verità, la presi io e subito dopo la comunicai al presidente Berlusconi (sorride ndr). Ma lui come sempre mi disse: Antonio, hai fatto la cosa giusta . Prendemmo parte, con l’eccellente brigata alpina Julia, all’operazione “Enduring Freedom” degli USA al confine fra Pakistan e Afghanistan, convinti che fosse necessaria per colpire i responsabili dei disastri dell’11 settembre, togliendo loro la base in cui addestrarsi. La Julia arrivò a Kabul e si spostò poi via terra sul luogo della missione, ma i materiali per l’accampamento, le munizioni e quanto necessario alla missione, che doveva arrivare su camion dalla capitale, non arrivarono. I camionisti spiegarono che il carico era stato rubato lungo la strada da predoni. Preoccupato del problema, convocai il direttore del SISMI, generale Nicolò Pollari, per avere il suo parere. Credo che Pollari sia stato uno straordinario direttore dei servizi militari. Mi assicurò che si sarebbe occupato della cosa e, in ventiquattro ore, risolse il problema. Credo sia ricorso all’”olio santo” per ungere gli ingranaggi. Comunque sia, fu molto in gamba. Gli alpini della Julia confermarono la loro reputazione. Furono formidabili e, malgrado il rischio altissimo, non subimmo perdite umane. Partecipammo poi anche a ISAF, operazione ONU, e facemmo nuovamente un ottimo lavoro. Credo che questo sia confermato dal fatto che ci fu affidato in un secondo tempo il comando di ISAF. Vorrei aggiungere che considero i miei due incarichi professionali, il primo agli Esteri, come i più importanti mandati. Nella storia millenaria dell’umanità non è mai esistito uno stato senza difesa o politica estera. Questi non sono solo alcuni dei compiti dello stato, sono lo stato. Agli Esteri ho conosciuto anche persone di grande valore. Tutti i membri del mio staff erano magnifici. Ma ho conosciuto anche diplomatici pelandroni e sonori imbecilli. Alla Difesa, invece, tutti i militari hanno un senso del dovere che nelle amministrazioni civili è difficile trovare. Non ho mai dovuto ripetere una richiesta due volte; la facevo ed era subito soddisfatta. Agli Esteri, invece, spesso la richiesta era ignorata, anche se ripetuta più volte. I militari invece la soddisfacevano immediatamente. Però non bisognava chiedergli le cose per favore, bisognava ordinargliele e loro obbedivano.

Quali sono le responsabilità del presidente Biden per questo disastroso ritiro?

Il disastro dell’Afghanistan è imputabile a Barack Hussein Obama e a Biden. Il primo è stato il peggior presidente della storia americana. Nel caso che ci interessa ha commesso due errori in un colpo solo: ha annunciato il ritiro e poi l’ha iniziato, dando poi ai talebani il tempo per riorganizzarsi e rafforzarsi. Il disastro è stato completato dal suo vice, che in un raro momento di sincerità ha dichiarato che la tragedia era da imputare a lui.

Il presidente Biden ha motivato il ritiro anche con la necessità per gli Usa di concentrarsi di più sulla Cina. Ma paradossalmente la Cina non rischia di rafforzarsi a danno dell’Occidente proprio a causa di questa scelta?

L’affermazione di Biden, apparentemente sensata, in realtà è contraria alla realtà. Una delle ragioni per cui l’Afghanistan non è irrilevante , è che a Oriente confina con la Cina. Rappresenta quindi il completamento della via della seta. E’ per questa ragione che Putin sta cercando di instaurare relazioni con i talebani. L’ex agente del KGB e presidente della Federazione Russa è tutt’altro che stupido, conosce bene l’importanza strategica della via della seta ed essendo giustamente preoccupato dell’aggressività cinese ignora la sconfitta dell’URSS ad opera dei talebani e cerca di contenere i cinesi.

Che ricordo conserva dell’ex presidente Hamid Karzai, coraggiosamente rimasto a Kabul?

Ho incontrato Karzai sia a Kabul sia a Roma e ne ho stima. Parla l’inglese correttamente, veste signorilmente, e aveva portato la democrazia, grazie all’intervento americano. Gli afgani e le afgane sono accorsi alle urne in massa. Cosa questa che il segretario del PD dovrebbe tenere presente quando, con toni sessantotteschi, dichiara che non si può esportare la democrazia con la guerra. Che il capo del Partito democratico ignori che la democrazia è un’aspirazione universale la dice lunga sulla credibilità del partito degli orfanelli del comunismo. Karzai ha governato bene e con tolleranza, ha ridato libertà alle donne e credo sia anni luce meglio dei talebani, un gruppo di teocrati retrivo e reazionario, alla cui umanità è difficile credere.

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