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Indonesia

America e Cina si contendono l’Indonesia. Report Ispi

L’Indonesia è la preda più ambita della competizione Usa-Cina per il controllo dei mari dell’Asia sudorientale: ecco perché.

Paese economicamente e demograficamente dinamico oltre che dotato di ricchi giacimenti di risorse come il nickel e il cobalto, l’Indonesia è la preda più ambita della competizione sino-americana per il controllo dei mari dell’Asia sudorientale. Un recente focus dell’Ispi, firmato dall’analista Andrea Passeri, illustra tutte le ragioni per cui Washington e Pechino si contendono la lealtà di una nazione la cui posizione geografica a cavallo di due oceani la renderebbe cruciale in caso di conflitto.

Scenario guerra nel Pacifico

L’approfondimento di Passeri comincia ricordando che Usa e Cina sembrano ormai pericolosamente avviati verso uno scontro militare che avrebbe come teatro i mari dell’Asia Orientale con l’obiettivo di assicurarsi il controllo di quegli stessi mari e dello strategico avamposto di Taiwan.

In vista di questo ormai sempre più plausibile conflitto, sottolinea l’autore, “sia la Cina che gli Stati Uniti hanno perciò aumentato di recente la propria pressione diplomatica nei riguardi dei principali interlocutori regionali, al fine di indurli a schierarsi con una delle due parti e assicurarsi così nuovi alleati e con loro una serie di avamposti militari da usare contro lo schieramento avverso”.

L’Indonesia tra due fuochi

Nella competizione sino-americana in atto in quello scacchiere, la preda più ambita – sia per ragioni economiche, che per peso politico, che per il suo posizionamento geografico quale crocevia tra Oceano Indiano e Pacifico – è l’Indonesia del Presidente Joko “Jokowi” Widodo, che proprio quest’anno ha assunto la presidenza di turno dell’Asean.

Conscio del valore strategico del Paese e intenzionata a scavare un solco tra quest’ultimo e il blocco occidentale, Pechino ha investito nel 2022 in Indonesia otto miliardi di dollari, cui vanno aggiunti altri 5,5 miliardi veicolati via Hong Kong: una somma più che doppia rispetto all’anno precedente e soprattutto doppia rispetto al totale degli investimenti Usa.

Dal canto suo, Washington ha reagito sia intensificando i contatti con il governo indonesiano – risale allo scorso novembre la doppia visita di Joe Biden e del Segretario alla Difesa Lloyd Austin – sia aumentando l’intensità delle esercitazioni militari congiunte.

Non-allineamento

Ma gli sforzi delle due superpotenze per assicurarsi la lealtà di Giakarta sono secondo Passeri destinati “ad infrangersi contro un pilastro strategico e identitario che caratterizza non soltanto il caso indonesiano, ma la maggioranza degli Stati del Sud-Est asiatico, ovvero una radicata e inflessibile tradizione di non-allineamento diplomatico nel quadro delle rivalità fra grandi potenze”.

È prevedibile che le prossime mosse di Giakarta saranno orientate a confermare la propria ventennale strategia di diversificazione delle proprie partnership internazionali all’insegna di una logica che noi italiani chiameremmo dei “due forni”.

In altre parole, vi sarà un’espansione dei legami economici con la Cina che sarà, rimarca l’analista, “controbilanciata dal primato dei rapporti con Stati Uniti e Russia come principali provider di sicurezza e asset militari, allo scopo di minimizzare il rischio di un’eccessiva dipendenza da Pechino e salvaguardare l’indipendenza e la libertà di manovra indonesiana nell’arena internazionale”.

L’importanza dell’Indonesia

L’Indonesia viene sempre più guardata all’estero come un ambitissimo mercato, forte di un Pil cresciuto in media del 5% annuo negli ultimi cinque decenni, di una popolazione di 274 milioni di abitanti che si colloca al quarto posto su scala mondiale, al primo tra i Paesi musulmani e al terzo fra i regimi democratici, e di una classe media di quasi 50 milioni di individui destinata a triplicare di qui al 2040.

L’Indonesia è in effetti un Paese florido baciato da importanti giacimenti di risorse estrattive tra cui si segnalano quelli di nickel e cobalto, ossia i componenti più importanti per la produzione di batterie dei veicoli elettrici, che la proiettano rispettivamente in prima e seconda posizione mondiale.

Il Paese dispone altresì di ingenti e ancora parzialmente inesplorati giacimenti di idrocarburi, i quali contribuiscono per oltre un decimo al Pil.

Boom delle infrastrutture

A rendere ulteriormente attraente l’Indonesia quale potenziale partner internazionale, è anche il massiccio piano di investimenti infrastrutturali fortemente voluto dal Presidente Widodo. che tra il 2015 e il 2019 ha firmato stanziamenti per ben 360 miliardi di dollari e che promette ora di incrementare di ulteriori 430 miliardi includendo, oltre agli investimenti dello Stato, anche i fondi attratti sui mercati internazionali.

Tra le altre cose, l’esecutivo si è impegnato a potenziare la rete di trasporti realizzando migliaia di chilometri di nuove strade con l’obiettivo di ovviare a due problemi come l’isolamento delle comunità periferiche e l’inquinamento e il congestionamento dei centri urbani.

Tra le iniziative più simboliche spicca il progetto di costruzione della nuova capitale nella giungla del Borneo orientale, progettata per essere grande due volte l’area metropolitana di New York.

La collocazione strategica dell’arcipelago

Ma non è solo fatto di essere da un punto di vista economico il Paese più importante della regione ad attirare l’interesse delle due superpotenze rivali. Per i disegni strategici di Washington e Pechino è ancora più importante il posizionamento geografico dell’arcipelago indonesiano, le cui 18mila isole si estendono dai margini dell’Oceano indiano alle porte del Pacifico.

“Grazie alla propria collocazione – osserva Passeri –  l’Indonesia si trova… nella condizione di potersi affacciare su alcuni fra i ‘colli di bottiglia’ più delicati e vitali per i traffici marittimi globali, fra cui lo Stretto di Malacca, lo Stretto di Singapore, lo Stretto di Lombok e quello della Sonda”.

Sotto questa luce, l’Indonesia appare fondamentale sia in tempo di pace, quando il controllo di questi snodi garantisce il regolare funzionamento dell’economia globale, sia in caso di guerra, quando quegli stessi snodi acquisirebbero una rilevanza militare chiave.

Il partner cinese

Nel corso degli ultimi anni, ricorda l’autore, l’Indonesia “ha deciso di legarsi a doppio filo alla locomotiva economica cinese, ricambiando così le avances di Pechino che si basano proprio sul potere finanziario e remunerativo della propria economia”.

Un indicatore eloquente dei sempre più stretti legami tra Pechino è dato dal volume di scambi. che nel 2020 ha raggiunto la cifra record di 73.4 miliardi di dollari, facendo della Cina il principale partner commerciale dell’Indonesia ed eclissando il ruolo degli Stati Uniti con i quali il valore dell’import-export si fermava in quello stesso periodo a quota 27 miliardi.

Il vero e proprio boom degli investimenti cinesi si è concentrato su tre settori preminenti: attività estrattive, energia e infrastrutture. Quello più sostanzioso riguarda la realizzazione di una linea ferroviaria ad alta velocità tra Giakarta e Bandung – non ancora completata nonostante l’impegno a concludere i lavori entro il 2019 –  commissionata nel 2015 con un budget di 5,5 miliardi, poi lievitati di altri due miliardi.

Parimenti importanti gli investimenti nelle miniere di nickel, che hanno visto la Cina agire attraverso il colosso minerario Tsingshan che oggi gode di una posizione dominante nel Paese.

La presenza di Pechino in Indonesia ha fatto sostanziosi passi in avanti durante la pandemia a seguito dello stanziamento di aiuti sanitari da parte di Pechino finalizzati a completare la campagna vaccinale: la Cina avrebbe provveduto a fornire l’80% dei vaccini somministrati nel Paese.

Ma a guastare gli ottimi rapporti personali tra Xi Jinping e Jokowi – incontratisi otto volte contro le sole quattro con i vertici delle amministrazioni Trump e Biden – c’è la disputa territoriale nel Mar Cinese Meridionale che riguarda nello specifico le isole Natuna, dove si registrano periodici sconfinamenti e provocazioni da parte delle forze navali cinesi.

Gli Usa fornitori di sicurezza

A fare da contraltare alla crescente sinergia economica sino-indonesiana è una relazione con Washington che si nutre invece della cooperazione bilaterale nel campo militare e della sicurezza.

“Per Giacarta infatti – ricorda Passeri – la presenza militare statunitense nelle acque contese del Sud-Est asiatico incarna una forza stabilizzatrice, capace di assicurare una serie di beni pubblici come, ad esempio, la protezione delle rotte marittime di comunicazione fra la regione ed il resto del mondo e la salvaguardia del loro carattere libero e aperto”.

Gli Usa figurano inoltre, assieme a Russia e Francia, come i principali fornitori di armamenti per l’Indonesia, con un volume complessivo di scambi che tra il 2013 e il 2021 ha sfiorato il miliardo di dollari di dollari, tre volte tanto le somme spese sull’asse Giakarta-Pechino.

Le forze armate dei due Paesi, inoltre, si esercitano congiuntamente da oltre un decennio, con iniziative come le manovre navali “Garuda Shield” che nel 2022 hanno mobilitato la cifra record di 4.000 soldati.

Ad approfondire i legami tra i due eserciti interviene poi l’offerta di programmi di addestramento negli Usa che hanno coinvolto negli anni oltre 7.000 ufficiali indonesiani.

Risale al 2015 infine la firma della partnership strategica fra i due paesi fortemente voluta da un Presidente come Obama che in gioventù ha vissuto in Indonesia e che gode a tutt’oggi di grande popolarità tra la popolazione locale.

Indonesia neutrale?

Gli elementi che abbiamo appena visto lascerebbero pensare che, in caso di conflitto sino-americano, l’Indonesia non avrebbe esitazione a schierarsi con il partner americano. In questo senso Washington ha accolto positivamente il voto di condanna dell’invasione russa all’Onu.

Ma la conclusione cui giunge Passeri è un’altra, ed è che “l’equilibrismo diplomatico e la ricerca costante di una equidistanza fra poli in competizione continuerà a rappresentare anche in ottica futura la cifra principale della politica estera indonesiana, soprattutto in caso di una escalation delle tensioni fra Washington e Pechino, che, con tutta probabilità, spingerebbe Giacarta a trincerarsi dietro la sua proverbiale neutralità”.

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