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autoritarismo

Il virus dell’autoritarismo visto da Paolo Mieli

“Il secolo autoritario. Perché i buoni non vincono mai” di Paolo Mieli letto da Tullio Fazzolari

Da Eric Hobsbawm in poi un secolo non si misura più soltanto con i canonici cento anni. E anche la classica numerazione progressiva sembra essere diventata obsoleta. Sempre più spesso la storiografia moderna tende a denominare un secolo con un aggettivo che sintetizza i fenomeni che lo hanno caratterizzato. Se ne sono già visti in abbondanza:  dal secolo breve a quello americano e tanti altri ancora. Il criterio è soggettivo affidandosi alla scelta individuale di un autore ma è efficace perché quasi sempre cattura l’attenzione dei lettori. Resta però il rischio che la formula del secolo “tematico” diventi un cliché e forse anche un espediente di marketing.

Non corre questo pericolo “Il secolo autoritario. Perché i buoni non vincono mai” di Paolo Mieli (Rizzoli, 300 pagine, 18,50 euro). Innanzi tutto perché l’approccio è assolutamente originale. Se non ci si ferma al titolo, è subito evidente che il libro è in realtà una sorta di storia universale del totalitarismo in tutte le sue forme. L’altro elemento fondamentale è che tale storia viene raccontata con il supporto di una documentazione imponente degna di un erede di Renzo De Felice e Rosario Romeo qual è appunto Mieli che di suo può aggiungere non soltanto una lunga esperienza giornalistica ma anche un’approfondita conoscenza della politica italiana e internazionale. C’è un modo, probabilmente un po’ semplicistico, per descrivere l’originalità del “Secolo autoritario”. Nell’opinione corrente questa definizione viene attribuita al Novecento. Difficile dire che non sia così. È il secolo devastato dalla dittatura fascista in Italia e da quella nazista in Germania che hanno provocato gli orrori della seconda guerra mondiale. Per completezza si può aggiungere il regime staliniano in Unione Sovietica. O anche i governi totalitari di Spagna e Portogallo che, non coinvolti nel conflitto mondiale, sono sopravvissuti fino alla metà degli anni Settanta.

“Il secolo autoritario” poteva limitarsi a raccontare il Novecento. Come se tendenze totalitarie non ci fossero né prima né dopo. Ed è a questo che Mieli dedica la sua attenzione uscendo dagli schemi oggi di moda e offrendo una visione storica più ampia e completa. Il virus dell’autoritarismo è diffuso già nell’antica Grecia e nella Roma di Cicerone. Lo si ritrova in ogni epoca. Per esempio tra i protagonisti della rivoluzione francese che atteggiandosi a difensori del popolo esercitano un potere assoluto. Una serie di flash back dimostra che questo pericolo non è mai scomparso. E non lo è neanche oggi al punto che anche il XXI secolo non è immune dal poter essere definito autoritario. Le minacce del presente sono raccontate da Mieli nei dieci capitoli conclusivi del suo libro. Dai regimi dittatoriali che ancora imperversano al terrorismo, dagli integralismi religiosi fino alla cancel culture che assume i toni di una nuova inquisizione, non c’è da stare sereni. Con la desolante constatazione che i “buoni”, ovvero i difensori della libertà e della democrazia, non hanno mai vinto. Nemmeno quando sembrava ci fossero riusciti. E forse a causa delle troppe sconfitte oggi si fa fatica a capire quali siano veramente i buoni e quali i cattivi.

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