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Processo all’abuso d’ufficio

"In quarant’anni di Pm non ho mai visto un sindaco finire in galera per l'evanescente reato di abuso d'ufficio. In compenso, le spese legali, le sofferenze psicologiche, le aggressioni mediatiche e, non ultima, la solita richiesta di «autosospensione in attesa dell’esito» sono tali da esasperare, e talvolta annichilire, anche gli animi più vigorosi". Estratto del libro "La stagione dell'indulgenza e i suoi frutti avvelenati" del magistrato Carlo Nordio per Edizioni Guerini e Associati

Agli inizi del 2017, un gruppo imponente di sindaci, rappresentati dal senatore Enzo Bianco, persona di grande intelligenza e buon senso, e investita a suo tempo di alte cariche istituzionali, inviò un’accorata lettera al premier Gentiloni. In essa si chiedeva di trovare un rimedio alle difficoltà in cui versavano i pubblici amministratori vessati da una marea di inchieste giudiziarie. In altre parole, sindaci, assessori ecc. erano terrorizzati dall’idea che ogni loro decisione fosse prodromica alla spedizione della famigerata informazione di garanzia. Con la conseguenza che, prima di firmare, ognuno di loro ci pensava cento volte. Oppure non firmava affatto. Il ministro Costa istituì una commissione tecnica ristretta, coordinata dal sottoscritto. Il problema fu studiato a fondo. Il nostro orientamento era abbastanza univoco: il reato di abuso d’ufficio andava eliminato. Ma prima che fossero presentate le conclusioni il ministro si dimise e con esso cessò anche la Commissione.

Nel frattempo, il Parlamento è cambiato, e con esso l’esecutivo. E il problema è rimasto, anzi si è aggravato Chiunque parli con un prefetto, un sindaco o un assessore sentirà la solita e comprensibile geremiade: abbiamo almeno una mezza dozzina di denunce. Il sindaco di una notissima cittadina turistica ne sta collezionando 73. Quando va bene, il reato ipotizzato è appunto l’abuso. Ma se il Pm è particolarmente motivato e severo può anche scapparci l’associazione per delinquere finalizzata alla commissione di questo reato. Inutile aggiungere che, con queste premesse, la pubblica amministrazione rischia la paralisi. Quasi tutte queste inchieste sono, statisticamente, destinate a finire nel nulla. Ma sono inchieste lunghe e costose, che nascono in genere da segnalazioni sommarie, successivamente assistite dalle famigerate intercettazioni dove, spulciando con occhiuta tenacia, qualche espressione ambigua sempre si trova.

Per verificare l’abuso d’ufficio, tuttavia, occorre dimostrare sia l’illegittimità dell’atto emanato, sia la volontà di realizzarla, per il conseguimento di un profitto o la produzione di un danno ad altri. In pratica, il magistrato deve rifare tutto l’iter amministrativo conclusosi con il provvedimento incriminato, e dimostrare che non si trattò di errore, ma di preordinazione dolosa.

Un percorso lungo, una ricerca difficile, una prova diabolica e un esito scontato. In quarant’anni di Pm non ho mai visto un sindaco finire in galera per questo evanescente reato. In compenso, le spese legali, le sofferenze psicologiche, le aggressioni mediatiche e, non ultima, la solita richiesta di «autosospensione in attesa dell’esito» sono tali da esasperare, e talvolta annichilire, anche gli animi più vigorosi. La conseguenza è quella lamentata dal sen. Bianco: un martirio che diventa indugio e un indugio, aggiungiamo noi, che diventa paralisi. Così assistiamo alla ripetizione di quanto avviene nell’ambito sanitario, dove, a seguito della valanga di denunce piovute sugli operatori, è stata adottata quella «medicina difensiva» che alla fine si riflette negativamente sui costi globali e sugli stessi pazienti.

L’amministrazione difensiva segue lo stesso principio: prima di pensare all’interesse collettivo, ci si preoccupa di pararsi la schiena, rinviando le decisioni difficili, e rinunciando a quelle più rischiose. Con questo la parabola si chiude. Lo Stato ha perso la fiducia in se stesso.

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