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Quattro Giornate

Il valore delle Quattro giornate di Napoli

L'ottantesimo anniversario delle Quattro giornate di Napoli (27-30 settembre) ricordato daTullio Fazzolari

Non è vero che “i bimbi d’Italia si chiaman Balilla”. A differenza di quanto dice l’inno di Mameli si chiamano anche Gennarino. Oppure Pasquale, Filippo o Mario. Sono i nomi dei ragazzi che ottant’anni fa, fra il 27 e il 30 settembre 1943, sono morti da eroi combattendo per liberare Napoli dall’occupazione tedesca. Gennaro Capuozzo aveva appena undici anni e già lavorava come commesso. Viene ucciso mentre indossato un elmetto tedesco lancia bombe a mano contro i carri armati.  Filippo Illuminato aveva tredici anni,  Pasquale Formisano diciassette e diciotto Mario Menichini che poco prima s’era arruolato come camicia nera ma nel settembre del ’43 non aveva avuto dubbi su quale fosse la scelta giusta. Per il loro eroismo saranno decorati con la medaglia d’oro al valor militare alla memoria a cui poi se ne aggiungerà una quinta per Antonio Cambriglia, giovane ufficiale dei bersaglieri, che dopo Napoli continuerà la lotta e morirà combattendo per liberare il Nord.

Ricordare oggi questi cinque nomi aiuta a non dimenticare qual è stato il valore delle Quattro giornate di Napoli. Forse uno dei momenti più alti della storia italiana. Tutto un popolo s’è ribellato contro gli oppressori senza distinzioni di classe né di fede politica. Comunisti e monarchici insieme così come avvocati, militari e operai come Lunetta Cerasuolo. Ogni rione della città ha improvvisato un’organizzazione di resistenza prendendo le armi dalle caserme abbandonate e scontrandosi con i militari germanici. E Napoli si è liberata da sola dagli invasori tedeschi senza aspettare l’arrivo degli alleati che, sbarcati a Salerno, non riuscivano a fare progressi.

Con perfetta scelta dei tempi, in coincidenza con l’ottantesimo anniversario delle Quattro giornate, Solferino editore ha appena pubblicato “La guerra non torna di notte” di Vincenza Alfano, un romanzo che racconta vicende realmente accadute e descrive perfettamente le condizioni e gli stati d’animo di una popolazione massacrata dai bombardamenti e dalle privazioni. Stranamente non si segnalano pubblicazioni recenti per approfondire gli eventi dal 27 al 30 settembre. L’ultimo saggio storico esaustivo è datato 2012 ed è “La lunga notte. Le Quattro giornate di Napoli” di Anna Aita e Aldo De Gioia edito da Rogiosi. Non ci sono ristampe di “Napoli contro il terrore nazista” che un grande della storiografia, Corrado Barbagallo, scrisse nel 1954. Se ci si adatta a fare il topo di biblioteca si possono rileggere le pagine dedicate alle Quattro giornate da altri autori: da Luigi Longo in “Un popolo alla macchia” a Giorgio Bocca in “Storia dell’Italia partigiana”. E forse non è male ricorrere anche ai grandi del cinema. Da Luigi Comencini nella scena finale di “Tutti a casa” in cui Alberto Sordi abbandona l’indifferenza e passa alla lotta armata a Nanni Loy che con “Le Quattro giornate di Napoli” ha fatto passare alla storia l’eroismo del piccolo Gennaro Capuozzo. E alla fine una cosa non può assolutamente essere dimenticata: le Quattro giornate non furono soltanto la liberazione di una città. Nello sfascio generale di quel momento, furono il segnale per tutti gli italiani che contro gli oppressori si poteva combattere e anche vincere

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