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Rischi

Il terremoto geopolitico provocato da Putin con la guerra in Ucraina

Ecco perché l’Italia, potenza economica votata all’export globale, dovrà fare i conti con l’accartocciamento regionale accelerato dalla guerra in Ucraina. L'articolo dell'analista geostrategico, Francesco Galietti, fondatore di Policy Sonar

 

La guerra in Ucraina sta mettendo a soqquadro ampie fette di mappamondo. La Russia, che nella narrazione di Putin rivendica un posto di primissimo piano tra i grandi della terra, paga un prezzo molto salato. Non solo e non tanto in termini di sanzioni, ma soprattutto in termini di status.

Mosca si vuole grande, ma la sua conduzione non brillante della guerra la relega fin qui nell’umiliante condizione di potenza media, impantanata in un conflitto più lungo e aspro del previsto, e ora ridotta a sperare nella ‘spartizione cipriota’ dell’Ucraina.

A questo micidiale contrappasso si aggiunge la curvatura verso Oriente che lo stesso Putin sta vieppiù imprimendo alla Russia. C’è un che di singolare (e di molto amaro) nel destino di quest’uomo che pure, da pietroburghese, ha per diversi anni incarnato l’anima ‘occidentalizzante’ del suo Paese, facendo da argine alle forti pulsioni eurasiste che da sempre albergano a Mosca. Acqua passata, evidentemente.

La furibonda offensiva russa in Ucraina, con continuo spargimento di sangue tra la popolazione civile, rischia a questo punto di essere la pietra tombale su qualsiasi aspettativa di realizzare un riavvicinamento tra Russia e Occidente, come pure di separare chirurgicamente i ‘gemelli siamesi’ sino-russi. Se si consolidasse la tendenza in atto, andrebbe messo in conto un deciso ribaricentramento russo verso l’Asia.

Questo processo di ‘manciurizzazione’ procederebbe di pari passo con la marginalizzazione della Russia a ovest degli Urali, sempre più propaggine-cuscinetto svuotato di centralità geopolitica, tristemente confortata dalle vestigia di un antico prestigio, con le imponenti cattedrali ortodosse mutilate del loro ruolo di instrumentum regni e degradate a mero elemento di corredo spirituale. Sono, questi, flash, inquietanti premonizioni di una pax sinica che in questi giorni non appare più surreale, e che solo l’intervento dei circoli di potere moscoviti può forse scongiurare. Nel frattempo, si riplasma la geopolitica degli snodi più caldi del pianeta. Il mondo cambia, anche in geografie non lontane dallo Stivale. Tira una gran brutta aria.

Nel Golfo, solo il Qatar si è schierato risolutamente al fianco della NATO – in realtà soprattutto al fianco dei turchi, tradizionali partner di Doha. Scricchiola, invece, l’intesa tra Sauditi ed emiratini da una parte, e Washington dall’altra. I primi sono risentiti con Joe Biden, che continua pubblicamente a rinfacciare la terrificante esecuzione di Kashoggi a Mohammed Bin Salman. Quest’ultimo, a sua volta, si rifiuta di accettare l’elemento morale che costituisce una parte integrante della politica estera statunitense. La ‘nemicizzazione’ che ne consegue funziona più o meno bene nei confronti delle autocrazie cinese e russa, ma crea problemi nelle petromonarchie del Golfo, che vivono con fastidio istanze liberal-democratiche che ne potrebbero destabilizzare l’autorità.

Gli emiratini, per conto loro, stanno attirando da ogni dove oligarchi russi in fuga dalle sanzioni occidentali. L’aspetto più rilevante è però questo: salvo il Qatar, che è una superpotenza gasiera globale, nel Golfo manca la volontà di compensare il venir meno degli idrocarburi russi. Da settimane, non a caso, la stampa tedesca non fa che scodellare interviste a eminenti economisti che discutono apertamente di come sostituire il petrolio russo con quello iraniano. Il che, ovviamente, mette in allerta Israele, per cui lo ‘scongelamento’ geopolitico dell’Iran, sia pure per stato di necessità anziché per libera scelta, appare una prospettiva inaccettabile.

Inevitabile corollario di tutto questo carico crescente di tensioni è il surriscaldamento dei colli di bottiglia rappresentati dagli stretti marittimi. La Turchia presidia Bosforo e Dardanelli, ma si è assicurata una presenza anche a Sud di Suez. Quanto a Suez, occorrerà capire quanto l’egiziano Al Sisi sarà disposto ad assecondare le giravolte dei suoi danti causa sauditi ed emiratini.

Si ridimensiona, per ora, il suggestivo piano di un corridoio multimodale indo-arabo-mediterraneo. Il mondo non è più piatto, e i principali vasi comunicanti rischiano di finire strozzati in men che non si dica. A Oriente, la stessa India asseconda con decisione la strategia indo-pacifica di contenimento della Cina al fianco di Giappone, USA e Australia, ma al contempo si mostra riluttante a tagliare i ponti con la Russia. New Delhi finisce così per favorire una saldatura eurasiatica, un po’ come se le vicende al di là dei propri confini non la riguardassero più di tanto.

Prende piede una tendenza di ‘accartocciamento regionale’, che l’Italia, potenza economica votata all’export globale, dovrà osservare con attenzione.

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