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Il tabù del Pd di Schlein

Schlein è la segretaria di un Pd che cerca nel suo Paese il suo principale alleato all’opposizione in un’area genericamente chiamata progressista ma non socialista. Che bizzarrie... Il corsivo di Damato

Pur elegante in quell’abito di un viola quaresimale che ha scelto per lei la specialista di armocromia che fa ormai parte della sua storia, o del suo romanzo politico, Elly Schlein deve avere avvertito la situazione anomala di padrona di casa nel congresso dei socialisti europei che si è svolto a Roma in previsione delle elezioni di giugno per il rinnovo del Parlamento di Strasburgo.

IL PD DI SCHLEIN PUÒ DIRSI SOCIALISTA SOLO ALL’ESTERO

Intanto il partito da lei guidato, diversamente dagli altri, può definirsi socialista solo al di fuori d’Italia. L’identità socialista, prima ancora del nome, gli è preclusa dalla componente ex comunista che, caduto il muro di Berlino nel 1989, e dovendo cambiare nome e simbolo per on essere travolto dalle sue macerie, in tutti i modi poteva chiamarsi fuorchè socialista.

C’era ancora in campo in Italia allora un patito dichiaratamente socialista guidato da Bettino Craxi. Che proprio mentre crollava il muro di Berlino faceva sventolare dalla finestre del Psi la bandiera dell’”unità socialisa” che da sola poneva il problema più indigesto per il Pci. Era quello dell’unificazione dei due rami principali della sinitsra italiana,

Più che unificarsi con l’odiato Craxi, i comunisti italiani speravano di liberarsi di lui e del suo patito cavalcando lo scandalo giudiziario di Tangentopoli. Finì come tutti sappiamo: con i socialisti disperi, Craxi costretto ad andare a morire ad Hammamet e un partito ex comunista chiamato pds, dei democratici di sinistra. La Quercia lo rappresentava botanicamente con la falce e il martello appoggiati al suo tronco. Di garofani neppure l’ombra. Erano un po’ come i chiodi della cassa da morto del Psi avventuratosi negli anni scorsi a sfidare il Pci addirittura da Palazzo Chigi.

Nella successiva trasformazione – dai democratici di sinistra senza più neppure il nome di partito ad una unificazione con i resti della sinistra democristiana e altri cespugli sotto il none generico di Partito Democratico – i post comunisti si trovarono nella spiacevole situazione di non potersi più chiamare socialisti anche per il veto dei post-democristiani. Che socialisti non si erano mai sentiti e non volevano diventarlo a storia ormai scaduta.

Ci volle poi il coraggio o la disinvoltura – come preferite – di Matteo Renzi per decidere all’improvviso, sorprendendo i democristiani da cui pure lui proveniva – l’adesione vera e propria, e non più da osservatore, del Pd al Partito Socialista Europeo. Poi, Renzi avrebbe abbandonato tutti per andarsene altrove.

TRA SCHLEIN E CONTE

Ora la Schlein è la segretaria di un partito democratico che cerca nel suo paese – o in in uno di quei due o tre di cui possiede legittimamente il passaporto – il suo principale alleato all’opposizione in un’area genericamente chiamata progressista ma non socialista. Questo nome dà terribilmente fastidio anche a Giuseppe Conte e amici grillini. Non parliamo poi di Grillo in persona, fattosi le ossa insultando i socialisti quando contavano con Craxi e ora trasferitosi “altrove” dopo vare consegnato il suo Movimento a Conte diventandone garante e consulte a contratto,

Conte, dal canto suo, non riesce ad accasarsi nel Parlamento europeo neppure fra i verdi, alla cui porta aveva bussato senza riuscire a farsi aprire la porta. Un Conte che sulla guerra in Ucraina considera il Pd “bellicista” come i socialisti europei. Un Conte che ha fatto sforzi sovrumani in un salotto televisivo per nascondere le sue note simpatie per Trump, che lo chiama Giuseppi al plurale, dicendo di non poter scegliere fra lo stesso Trump e Biden, in vista delle elezioni americane, per non compromettere i rapporti fra i due paesi, Come se fosse ancora lui il presidente del Consiglio, o potesse tornare presto ad esserlo con l’aiuto della Schlein. Non si capirebbe di chi altro, sennò.

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