Il consueto sermone domenicale del professor Sergio Fabbrini sul Sole 24 Ore non delude mai. Le sue riflessioni sono sempre utili per individuare la retta via. Infatti è sufficiente procedere in direzione esattamente opposta.
Oggi il problema è “l’anomalia italiana” nel voto che a Strasburgo ha eletto Ursula von der Leyen alla carica di presidente della Commissione.
Fabbrini sostiene che Ursula non avrebbe esplicitamente escluso Fdi dalla maggioranza chiamata a sostenerla, portando a sostegno una generica apertura “a tutte le forze politiche che sono a favore dell’Europa, dell’Ucraina e dello Stato di diritto”. Invece è vero esattamente il contrario.
Per il semplice motivo che, per avere a bordo il sostegno dei Verdi, la tedesca doveva esplicitamente tagliare i ponti con il gruppo Ecr e lisciare il pelo ai Verdi. E così è stato. Vedasi il passaggio sul Green Deal su “cui mantenere la rotta”. Nessuna “auto-esclusione” di Giorgia Meloni, nelle vesti di leader politico di Fdi, ma esplicita conventio ad exclude
Ma ci stupiamo come Fabbrini confonda il piano politico del sostegno parlamentare di un gruppo in una specifica e seppure importante votazione, con quello governativo. Soprattutto in un intricato sistema istituzionale come quello europeo.
Quest’ultima partita si era aperta e chiusa nelle due settimane di giugno. Quando la Meloni aveva denunciato il metodo e il merito che aveva portato il Consiglio Europeo a proporre la presidenza von der Leyen al voto dell’Europarlamento. L’astensione in quella sede era stata la scelta del governo nell’interesse del Paese, giusta o sbagliata che fosse.
Il voto parlamentare di Fdi, anche se fosse stato favorevole, non avrebbe spostato di una virgola la posizione del governo. Dinamiche e equilibri parlamentari hanno portato al voto contrario.
Essendo gli equilibri nelle diverse istituzioni (Parlamento, Consiglio e Commissione) nettamente diversi, non si capisce su cosa fondi l’affermazione di Fabbrini, secondo il quale “sarà ora più difficile reclamare attenzione verso le nostre esigenze nazionali” […] Il partito prima dello Stato”. No, ci permettiamo di obiettare, partito e Stato sono impegnati su due fronti diversi. A maggior ragione quando il partito opera in un Parlamento “anomalo”, dove non esiste il voto di sfiducia alla Commissione, che può solo dimettersi autonomamente.
Come detto più volte, le decisioni in Europa si prendono in Commissione (dove ci saranno almeno 13 Commissari espressi da governi senza i Verdi e la sinistra) e in Consiglio dei ministri Ue (stessi equilibri, dove bastano 13 voti contrari per una minoranza di blocco). Il Parlamento ha sempre raccolto le briciole.
Infine, il mondo dei sogni di Fabbrini. Secondo il quale se la Meloni fosse entrata nella maggioranza che ha votato Ursula, “avrebbe potuto avanzare un paradigma alternativo di transizione ambientale, basata su ingenti fondi europei (sic!) da distribuire ai governi nazionali sotto il controllo della Commissione, come sta avvenendo con NextGenEU”.
Ci dispiace interrompere i sogni per comunicare che quei fondi europei non esistono e non esisteranno mai, perché i tedeschi hanno semplicemente detto “Nein”. Da tempo e più volte. Il NextGenEU – che dopo 3 anni dall’avvio ha erogato circa 230 miliardi sugli 850 promessi – è uno strumento una tantum.
Poiché Fabbrini considera questo (utopistico) debito europeo come condizione per rendere “socialmente sostenibile una transizione che richiederà enormi risorse”, lasciamo trarre ai lettori le conclusioni sul destino della transizione.
Infine, desideriamo tranquillizzare il professor Fabbrini. Quel voto parlamentare non ha messo in luce alcuna anomalia. Cioè stare fuori “dall’Europa integrata”, grazie alla quali “siamo cresciuti”. Passaggio che rappresenta un momento di rara ilarità, davanti ai grafici che mostrano il declino del Pil italiano dal 1999 e, ancor più, dal 2011.
Se la sua preoccupazione è quella che – a causa di quel voto – l’Italia diventi “un Paese marginale e di retroguardia”, stia pure tranquillo. È difficile che vada peggio di com’è andata finora, con il nostro Paese sistematicamente escluso da tutte le decisioni più rilevanti (dall’Unione Bancaria, al Patto di Stabilità, agli aiuti di Stato…) e perfino “bullizzato” nei momenti difficili del 2011-2014.