Si sprecano un po’ in tutti giornali, ma in particolare sul Corriere della Sera nell’articolo di Monica Guerzoni, aggettivi e definizioni muscolari della lettera critica inviata dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella ai presidenti delle Camere sulla legge, pur promulgata da lui stesso, che ha ripristinato dall’anno prossimo la festa nazionale di San Francesco d’Assisi. Eppure è stata una legge approvata in via definitiva il 23 settembre scorso a Montecitorio all’unanimità, per cui non si può dire che il capo dello Stato, come pure ho letto da qualche parte, abbia fatto le pulci, o qualcosa di simile, al governo. Le ha fatte piuttosto alla maggioranza e alle opposizioni, ritrovatesi insieme a sostenere una proposta di legge dell’ex ministro Maurizio Lupi, intestatario nell’area di centrodestra di un partitino chiamato “Noi moderati”. E fedeli, naturalmente, di San Francesco d’Assisi.
Infilatosi addosso metaforicamente un saio francescano, Lupi ha trovato il modo di vedere e indicare nell’intervento del Capo dello Stato una valorizzazione ulteriore della sua legge esprimendo la certezza di soddisfare attese, richieste e quant’altro del Quirinale senza compromettere il ripristino della festa nazionale soppressa nel 1977 da uno dei sette governi di Giulio Andreotti, in epoca risparmiosa di “solidarietà nazionale”. Potrebbe essere, per esempio, separata da quella di Santa Caterina da Siena. In soccorso della quale, per venerazione, esposizione e quant’altro, Mattarella è intervenuto sostenendo che insieme le due feste non possono tornare con uno stato “diverso”: festa nazionale quella di San Francesco, solennità civile quella di santa Caterina. Che non potrebbe essere ricordata con lezioni, riflessioni e altro nelle scuole chiuse per festeggiare San Francesco.
In verità, San Francesco l’anno prossimo ricorrerà di domenica, a dispetto delle scommesse sul solito ponte, per cui Santa Caterina non potrà comunque subire menomazioni celebrative. Ma di certo nell’anno successivo il problema potrebbe porsi nel suo aspetto imbarazzante, per cui converrebbe intervenire in tempo.
Santa Caterina, stando alle voci che già circolano negli ambienti parlamentari, potrebbe essere spostata nel calendario delle feste al 29 aprile. Che è già quella dedicatale come vergine e dottore della Chiesa, patrona d’Italia e d’Europa.
Per tornare all’argomento iniziale, mi chiedo se davvero fosse il caso non dico di assumere da parte del Capo dello Stato un’iniziativa così clamorosa nell’aspetto mediatico e politico, ma di riferirne come “energica strigliata” dopo “il papocchio” parlamentare e via leggendo, ripeto, Monica Guerzoni sul Corriere della Sera.