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salotto rosso

Il salotto rosso degli anni ’70

Nostalgico ricordo de “Il salotto rosso” di Nantas Salvalaggio, che - con il suo stile veloce, fresco, da narratore nato, con sprazzi satirici - rappresenta i nostri anni ’70, in bilico fra terrorismo e il mondo post-sessantottino. La lettera dell’avv. Antonio de Grazia

 

Caro direttore,

viviamo tempi interessanti: un presente che, ossessivamente, desidera prevedere il futuro. Il giornalista, il commentatore, l’opinionista, l’influencer tentano di essere moderni Nostradamus.

Ma solo la grande scrittura, l’affresco o la miniatura letterari possono analizzare – con l’escamotage del grande intrattenimento – un’epoca. Dostoevskij, con “I demoni”, descrive il terrorismo nichilista; Pierre Drieu La Rochelle, con “Gilles”, il caos francese del primo dopoguerra; Musil, con “L’uomo senza qualità”, il declino della Grande Austria; Hermann Broch, con la sottovalutata trilogia de “I sonnambuli”, la disgregazione dei valori del vecchio mondo per effetto dell’eccesso di razionalismo.

E in Italia? Abbiamo Giuseppe Prezzolini, Leo Longanesi, Ennio Flaiano.

Oggi il mio occhio si rivolge ad un ormai dimenticato scrittore di successo, un vero scrittore artigiano: il veneziano Nantas Salvalaggio. In un breve romanzo pubblicato nel 1988, “Il salotto rosso”, Salvalaggio rappresenta – con il suo stile veloce, fresco, da narratore nato, con sprazzi satirici – i nostri anni ’70, in bilico fra terrorismo e il mondo post-sessantottino.

Il protagonista – e in parte alter ego – è Mario Rendi, rubrichista di successo alla Radio, dongiovanni agnostico, aspirante scrittore della Roma e del suo multicolore demimonde.

Il tono è impressionista e a tratti melanconico.

“Qualche volta si sentiva come nei panni di un attore che nello stesso film – in virtù di trucchi scenici – interpreta insieme Otello e Jago, Jekyll e Hyde”. “La sera, con meticolosa pazienza, Mario riassumeva tutto ciò che aveva visto su un grosso quaderno nero con bordo rosso. Lì appuntava le ore degli incontri, i dialoghi con guardie e ladri, i ritrattini essenziali di personaggi noti e oscuri”.

A Villa Taverna, a una cena, l’ambasciatore americano Bill “aveva una faccia da tricheco e gli occhi inquisitivi del banchiere ebreo”.

“La cosa che più mi deprime – aveva confessato il buon Bill a un intelligente e solitario scrittore italiano – è che capisco l’inferno di Dante, ma non quello dei democristiani. Ho afferrato la filosofia di Vico, ma non le strategie di Moro”.

“Al tavolo di Mario, due discorsi si alternavano con varia fortuna: il terrorismo e la nobiltà”.

Frammenti di Come Eravamo.

“Tra i paesi occidentali, l’Italia era quello che più sembrava con l’acqua alla gola. Bloccato da oltre un trentennio il ricambio della classe dirigente… la corruzione era diventata endemica. E così parecchi giovani, una generazione illusa e bruciata, si erano andati persuadendo che l’ultima spiaggia era la lupara, la lotta armata.”

“Nella corsa edonistica allo sperpero – nessuno risparmiava più nulla – gli italiani sembravano ballare i loro ultimi valzer, come i miliardari del Titanic”.

L’italiano non ama la tragedia, ma il melodramma.

“La vita romana, come del resto quella del paese, procedeva in un clima di fatalismo orientale, tra scioperi sparatorie e processioni, scandali e festival”.

E poi vi era il desiderio di Mario Rendi, dell’intellettuale imborghesito, di scrivere il Libro che resterà: “Un libro che mandasse l’odore del denaro, della corruzione, il profumo dei salotti e dei bordelli”.

E poi squarci di impressionismo narrativo, quando Mario Rendi torna a Venezia: “La laguna verde-azzurra, qua e là macchiata da qualche vela vagabonda; le sagome verde-marrone di Murano e verde-rosa di San Michele; le briccole solitarie o a gruppi, come mazzetti di asparagi; le quinte giallo-rosa-ocra delle Fondamenta Nuove, e la medievale solennità dell’Arsenale deserto”.

Il Salotto Rosso è quello di Varna, astuta e intrigante e charmant adescatrice: “Oh, povera Varna: è la cartolina illustrata della Roma emergente. Dopo il papa polacco, è la parvenue che ha più successo con gli americani”. “Nel giardino del Jackie O’ la cena navigava tra aragoste e salmone affumicato, e i tavoli rotondi erano decorati di fiori e illuminati da candelabri d’argento. Gli uomini erano pinguini negli smoking lucidi, le donne cinguettavano nel balenìo degli strass e dei gioielli”.

“Mario scese dal soppalco al soggiorno. E intanto che osservava in giro gli specchi elaborati e dipinti, i disegni di Erté, le statuine, gli abat-jour, i lampadari e le cornici liberty, tappeti e damaschi del famoso salotto rosso, si sentiva pian piano irretito dal fascino di quella donna. Era come se, entrato nel cerchio del suo magnetismo, rinunciasse a ogni giudizio morale”.

Ah, la buona vecchia prosa narrativa artigianale.

Così è, se vi pare.

Un caro saluto.

Antonio de Grazia

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