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Giorgetti

Il presenzialismo tv dei ministri non giova al governo

Perché i ministri del governo Conte continuano ad andare in tv facendo figure barbine?

Con tutta la prudenza che abbiamo imparato ad avere, grazie anche alle vicende di Piercamillo Davigo e di Luca Palamara, in ordine rigorosamente alfabetico, un po’ per tutti i Consigli Superiori regalatici dalla Costituzione e dalle leggi ordinarie, ho diffidato d’istinto del “lockdown lontano” annunciato ottimisticamente dal presidente del Consiglio Superiore della Sanità Franco Locatelli in una intervista al Fatto Quotidiano. Che naturalmente non voleva sentirsi dire altro, impegnato com’è a buttare acqua sul fuoco della pandemia temendo che finisca per incenerire anche il governo del benemerito, provvidenziale, insostituibile, elegantissimo, sagace, spiritoso e resistente Giuseppe Conte. Anzi, a pensarci meglio, forse qualcosa in più il giornale di Marco Travaglio se l’aspettava o pretendeva dall’intervistato: non un semplice “lontano” ma un superlativo “lontanissimo”, o addirittura un categorico “impossibile”, non potendo bastare un “improbabile” lockdown, in lingua rigorosamente inglese adottata anche da Conte.

Se poi dovesse accadere ciò che dalle parti di Travaglio non si vuole, o non si desidera, o si teme per i suoi effetti forse più politici che fisici, sanitari, economici e quant’altro, sarebbero già pronti a pensare e a scrivere maledettamente “peggio per i fatti”, non per chi ne subirebbe i danni. O si consolerebbero con la vignetta di Nico Pillinini su tutto il globo terracqueo, e non solo l’Italia, soffocato dai tentacoli del Covid, preferendola a quella dell’impertinente Francesco Tullio Altan. Che praticamente denuncia l’attendismo del governo più bello del mondo, che si spende a promettere tanto per il futuro e non fare niente, o quasi, in questo dannatissimo presente.

Intanto, giusto per fare qualcosa di concreto e utile per il suo governo, o di meno nocivo, vista anche la perdita di consenso personale che comincia a registrare nei sondaggi così a lungo generosi con lui, il presidente del Consiglio potrebbe ricorrere ad una forma particolarissima e limitatissima di lockdown, riguardando i suoi 21 ministri e 41 fra vice ministri e sottosegretari, per un totale quindi di 62 persone, se ho fatto bene i conti. Egli potrebbe interdire a costoro, magari con un altro decreto presidenziale noto con l’acronimo dpcm, e finalizzato anch’esso all’emergenza virale, di frequentare salotti e salottini televisivi, visto che di solito -molto di solito- ne escono a pezzi. E con loro esce a pezzi anche il governo di cui fanno parte.

Non più tardi di ieri, venerdì 23 ottobre, alla penultima edizione legale delle otto e mezza serale de la 7, visto che da lunedì prossimo saranno le otto e mezza solari, mi sono personalmente trovato -ma credo, da remoto, in buona compagnia- nell’imbarazzo della scelta fra l’apprezzamento delle incalzanti domande e interruzioni della conduttrice Lilli Gruber e degli altri intervistatori e lo sgomento per la prestazione della ministra delle infrastrutture e dei trasporti Paola De Micheli. Che si è trovata strettissima tra le insufficienze dimostrate anche dal suo dicastero di fronte alla seconda ondata della pandemia virale e il comprensibile dovere, per carità, di coprire, ignorare e quant’altro le responsabilità degli altri esponenti del governo, a cominciare dal presidente del Consiglio.

Ad un certo punto -incredibile a pensarlo e a dirlo- ho rimpianto persino il buon umore che mi ispirava davanti alla televisione, tra l’autentico e l’imitato, il predecessore della ministra piddina: il grillino e riccioluto Danilo Toninelli, dell’epoca o maggiorana gialloverde.

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