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buio americano

Il nuovo (dis)ordine mondiale di Trump

"Buio americano" (Il Mulino) di Mario Del Pero, professore all’Università di Parigi di Storia internazionale e Storia degli Stati Uniti, letto da Francesco Provinciali

 

Densità ed attualità dei temi ed ampiezza e pertinenza dell’analisi politologica sono due capisaldi di un affascinante libro del Prof. Mario Del Pero, docente all’Università di Parigi di Storia internazionale e Storia degli Stati Uniti, edito dalla casa editrice Il Mulino. Si tratta di due valori aggiunti utili per comprendere in modo connotativo e documentato tutto il côté della trattazione divulgativa ed essoterica che la presenza di Trump – soprattutto nell’accelerazione impressa al secondo mandato presidenziale – ha pervaso in modo dirompente il dibattito sul ruolo degli Stati Uniti nella configurazione immaginifica e plastica di un nuovo ordine mondiale commisurato ai rapporti di forza tra le superpotenze in una contingenza epocale caratterizzata da scenari economici mutevoli e dal condizionamento degli eventi bellici in atto in Ucraina e in Medio Oriente.

L’autore presenta Trump come il teorico di una strategia di rottura e scompaginamento della globalizzazione: sono semmai da un lato l’interdipendenza tra politica estera e politica interna USA (‘intermestic’, come mix tra ‘international’ e ‘domestic’) e l’impegno a rilanciare la supremazia della potenza americana negli scenari internazionali sottraendoli ai vincoli (e agli orrori, descritti in toni apocalittici e distopici) dell’interdipendenza dagli ambiti mondialistici (si pensi all’unilateralismo energetico, agli accordi sul clima da COP21 a COP28) sui quali si sta esercitando una sorta di cleavage americano, che declassa i temi ambientali e del surriscaldamento definiti ‘bufale’ e collocati agli ultimi posti delle classifiche degli interessi politico-economici, fino a diventare utili parametri per commisurare lo scollamento degli USA dagli orientamenti dell’ONU in base a una scelta di disaccoppiamento.

Secondo il suo più importante biografo – Steve Bannon – Trump ha saputo intercettare le paure del popolo americano dopo la crisi del 2008, fino a descrivere il suo avvento come “the age of Trump”: diversamente dal primo mandato, il Presidente adotta stilemi linguistici e contenuti propri dai toni neo-imperiali, consapevole della presenza di un grande rivale come la Cina, unica potenza in grado di insidiare il suprematismo militare, economico, produttivo degli USA, dove la forza del dollaro è data dall’essere valuta di riferimento per le transazioni internazionali, strumento per la determinazione dei prezzi delle materie prime e moneta più utilizzata nelle riserve delle banche centrali.

In un mondo di interessi che risultano prevalenti sulle logiche amici-nemici, il principio della forza è ciò che legittima l’uso e l’ampiezza del compasso americano nel misurare e stabilire strategie fiscali e commerciali, come proprio nell’incipit del secondo mandato presidenziale Trump ha assai bene espresso attraverso la logica dei tassi doganali e la politica dei dazi. Peraltro fluttuanti, ondivaghi e persino sconcertanti nella loro distribuzione sull’import-export con i Paesi del mondo.

È fin troppo nota la teoria del Make America Great Again (MAGA) secondo la quale l’America deve riguadagnarsi autorevolezza, autocrazia e benessere di un tempo: neanche tanto velatamente ciò può solo accadere cacciando parassiti e nullafacenti, tagliando la spesa pubblica, erigendo muri insuperabili come quello progettato ai confini del Messico, arrestando i dissidenti, definanziando e controllando le Università come Harvard, limitando l’immigrazione se non utile all’interesse nazionale, privilegiando una sorta di suprematismo bianco. Riportare gli USA ai tempi d’oro della potenza economica egemone, dei consumi interni, dell’incremento della produzione che limiti le importazioni, della sontuosità iperacquisitiva negli stili di vita interni.

Sul piano internazionale Trump pare impegnato soprattutto su tre fronti: la competizione con la Cina, la ridefinizione delle relazioni con l’Europa e gli equilibri in Medio Oriente, con un occhio di riguardo a Israele (a cui è legato da un patto di ferro) e un’accorta attenzione verso il mondo arabo e il Qatar in particolare. Leggendo le intense pagine del magnifico libro si evince come la Cina costituisca un autentico incubo per Trump, per questo l’oscillazione dei dazi sull’import delle tecnologie (specialmente) e del manifatturiero raggiungono balzelli da capogiro. Ciò non impedisce un rapporto di stima personale ostentata da Trump e Xi Jinping e suffragato da strette di mano immortalate in foto da archiviare.

Circa l’Europa, il Capo della Casa Bianca ha fatto intendere che si tratta di una realtà che ha dato luogo all’U.E. con l’intendimento di “fottere” gli USA: perciò invita i Paesi del vecchio continente ad aumentare le spese militari fino a un improbabile 5% da raggiungersi nel 2034, per questo considera l’Ucraina una faccenda dannatamente europea, fino a trascurare radici e legami storici con il vecchio continente in nome di quel principio di interesse cui si è fatto riferimento. Forse disistima Macron e Merz più di quanto tolleri e biasimi solo a parole Putin: ad Anchorage ha ricevuto solo lui e pare più interessato a inglobare Canada e Groenlandia di quanto possa occuparsi di Crimea e Donbas. L’ultimo incontro alla Casa Bianca con Zelensky, che proponeva uno scambio droni ucraini–Tomahawk americani, si è concluso con un nulla di fatto.

Quanto al Medio Oriente, sta dimostrando in questi giorni (postumi al libro) quanto possa essere vincente l’autorevolezza e il credito internazionale degli USA, arbitri da sempre (finora) degli equilibri nel mondo: nonostante il “Buio americano”, la sospensione del conflitto e la sottoscrizione degli accordi che verosimilmente porteranno alla pace sono un successo storico che va attribuito senza indugi alla determinazione e all’opera di convincimento messi in atto dal Presidente americano.

Nel libro di Del Pero, autarchia e neo-imperialismo restano però i tratti distintivi che emergono come sintesi estrema dell’era Trump. L’autore, a un certo punto, evidenzia una sorta di pedagogia tossica che ha iniettato veleno nel corpo americano già ammalato di nostalgia di passati edenici e ripiegamenti nazionalistici.

La promessa è impegnativa: il ritorno a un benessere perduto e il superamento di una malintesa globalizzazione che flussi demografici e dimensioni planetarie fanno sopravvivere. Storicamente, l’isolazionismo e il protezionismo hanno tuttavia prodotto stagioni effimere di apparenze e immaginare di restare grandi e primi ma solo esprime una deriva velleitaria su cui solo la storia potrà decidere.

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