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Blocco Navale

I nodi di Giorgia Meloni

Fratelli d'Italia di Giorgia Meloni: obiettivi, sfide, incognite e scenari. Il punto di Battista Falconi

Il popolo della destra che oggi preferisce definirsi “identitaria”, rispetto ai precedenti attributi di “radicale” o “estrema”, giunge galvanizzato all’appuntamento con Giorgia Meloni che si terrà mercoledì 20 luglio, alle ore 19, a piazza Vittorio, Roma. Cioè nel topos per eccellenza della capitale multietnica, nel rione che da almeno 30 anni è stato permeato, fino al monopolio, dalle comunità immigrate: in primis e soprattutto quella cinese. Ma piazza Vittorio è anche una scelta identitaria, per l’appunto: siamo a poca distanza dal Colle Oppio, storica sede del Movimento sociale italiano, dai giardini dove ancora oggi il “Popolo di Giorgia” si ritrova per le sue manifestazioni.

Di ragioni per essere allegri, la leader di Fratelli d’Italia e i suoi seguaci ne hanno diverse. La crisi di governo determinata dal suicidio scissionista dei Cinque stelle, qualunque sia il suo esito, li lancia ancor più vigorosamente: Meloni può candidarsi come possibile prossimo premier, quale guida dell’unica forza di opposizione del paese e quale unica donna leader di una forza politica. Il genere, di questi tempi, non è un mero dettaglio, specie se si aggiungono la giovane età sul piano personale e, su quello più concreto, il dilagante sconcerto per un quadro che sembra confermare molti leit motiv della propaganda di FdI.

Mario Draghi ha fatto quello che ha potuto ma, soprattutto, quello che ha dovuto. Le condizioni internazionali determinano le sorti del nostro Paese, e di molti altri, in modo tanto vincolante che l’espropriazione delle sovranità nazionali appare a molti non più soltanto uno slogan “alternativo”. Si pensi alla epocale contingenza degli ultimi tre anni: pandemia, Pnrr, guerra in Ucraina, crisi energetica e ambientale. Tutti temi su cui i margini di scelta dei governi sembrano ristretti a quasi nulla da scelte “mondialiste”. Sono Usa, Russia e Cina (ma anche qualche outsider più vivace come la Turchia) a dare le carte che l’Unione Europea è costretta a giocare alla meno peggio, mentre gli Stati membri possono appena sbirciarle. Se si perde, come probabile succeda quando non si tiene il banco, a pagare sono i cittadini mediante l’aumento delle bollette, la disoccupazione o sottoccupazione, l’inflazione o la stagflazione.

Che gli esecutivi nazionali, ma soprattutto certi esecutivi “tecnici” come quelli condotti da Draghi o da Mario Monti a suo tempo, siano ridotti a registrare notarilmente comande imposte sopra le nostre teste e lontano dalle nostre latitudini non è insomma soltanto una tesi complottista. Non meraviglia quindi la progressiva simpatia che circonda Giorgia Meloni e la sua forza, prima secondo i sondaggi (per quanto possano valere). Non si tratta solo del travaso di voti da Forza Italia e dalla Lega, che presumibilmente dovranno fare pace con le proprie vanità, rimettendosi a questa nuova leadership di alleanza, ma soprattutto dello “sdoganamento” che si percepisce da parte di esponenti, militanti, elettori e simpatizzanti di varia estrazione. Un processo simile a quello che gratificò a suo tempo Gianfranco Fini e, in misura minore, anche Matteo Salvini (per Silvio Berlusconi è accaduto in qualche modo l’opposto: ad attenuare l’antipatia che lo circondava sono stati l’insuccesso e l’ininfluenza).

Il popolo di Giorgia, quindi, ha buone ragioni per riunirsi a piazza Vittorio in un clima festoso e fiducioso. Che però non si deve tradurre in un ottimismo sconsiderato. Se ciò che Fratelli d’Italia sostiene e che abbiamo schematicamente riassunto è in minima parte vero (e, in minima parte, è difficile negare che lo sia), per governare non sarà sufficiente confermarsi come partito di maggioranza parlamentare relativa, nemmeno se la coalizione di centro-destra dovesse vincere o trovare gli appoggi parlamentari necessari. Gli ostacoli che un governo guidato da Meloni incontrerebbe sono numerosi ed enormi, a partire dalla difficoltà di comporre un esecutivo e una nomenklatura in grado di gestire il potere per un periodo sufficiente a dare qualche segnale in controtendenza. In questo nodo finì strozzato come premier persino Berlusconi, che pure come imprenditore aveva alle spalle una storia e una rete di contatti ben superiore.

La simpatia concessa ex ante non ha nulla a che vedere con l’appoggio ex post, nemmeno con la concessione del quieto vivere. FdI conserva – secondo i suoi avversari – troppi scheletri ideologici nell’armadio, il politically correct, la nomenklatura, il mainstream li tirerebbero fuori nel momento in cui servisse: neofascismo mai sopito (nelle sue più varie declinazioni, dal revisionismo storico al nostalgismo), gaffe neonaziste (di quanti personaggi vicini all’ambiente si potrebbero recuperare infelici, orribili battute sull’Olocausto?), strette di mano e amicizie con personaggi imbarazzanti di ieri e di oggi, battaglie etiche e bioetiche magari condivise sottotraccia dalla Chiesa ma avversate pubblicamente da piazze rumorose (dalla cannabis all’aborto).

La questione non è naturalmente tutta qui, ce ne sono altre più fattuali. Per esempio, conciliare anti-americanismo e obblighi atlantici, avversione a Bruxelles e appartenenza all’Ue (a meno che non si pensi a un’Italexit), revisione delle politiche migratorie (che pure incontrerebbe ampio consenso) e incancrenimento pluridecennale dei flussi mediterranei e continentali, amore dichiarato per lo stato sociale e pesantissime condizioni di bilancio (per pressione fiscale, deficit e debito pubblici).

La leader ha le capacità per provare a traversare il deserto che la separa dalla realizzazione del suo nuovo modello, che in realtà è soprattutto un ritorno al primato della politica sull’economia e delle nazioni sulla globalizzazione. La cronaca politica recente, però, non è favorevole a certe rivoluzioni o controrivoluzione. La destra può governare, con successo duraturo, quando parte da posizioni moderate che accompagnano il corso della storia: Helmut Kohl, Angela Merkel, Ronald Reagan, Margaret Thatcher lo dimostrano. I tentativi di viaggiare in senso contrario allo spirito dei tempi (alla Zeitgeist, per usare un termine caro a Giorgia), a partire da posizioni “identitarie”, hanno visto tante ondate di entusiasmo infrangersi sugli scogli: si pensi alla sfortunata vita politica e personale di Jorg Haider, ai guai giudiziari legati all’attività ministeriale di Salvini, alla repentina caduta di Boris Johnson, alle ripetute quanto fallimentari candidature presidenziali dei Le Pen (e alle loro liti politico-famigliari). Lo stesso sfacelo del M5S in qualche modo rientra in questa narrativa.

In mezzo c’è Silvio Berlusconi, che ha governato per tre mandati e complessivi cinque anni e mezzo, nell’arco di 12, realizzando tra mille difficoltà alcuni cambiamenti che molti militanti di FdI considerano tra le peggiori cose fatte nel nostro paese. Già: i militanti. Se davvero Giorgia provasse a traghettare il suo popolo da partito di lotta, o almeno di opposizione dura e pura, a partito di governo, con tutti gli infiniti compromessi che questo termine porta con sé, come la prenderebbero? Quanti fedeli sostenitori identitari sarebbero delusi dal suo ammorbidimento, dall’imborghesimento, dalla moderazione, dal “tradimento degli ideali”? Basta pensare allo scossone che ha provocato la scelta di Meloni di vaccinarsi. E quanti sarebbero più prosaicamente delusi dall’attribuzione di cariche apicali e decisionali a personaggi non di “ambiente”, magari “nemici”, magari “venduti” voltagabbana pronti a salire sul carro della vincitrice?

Ci sarà tempo per pensarci, se le sorti volgessero a favore di un’elezione che Fratelli d’Italia sostiene con forza, accompagnata da un consenso molto più ampio dei suoi limiti di partito, e se il voto confermasse le previsioni attuali. Ma di acqua sotto i ponti deve scorrerne molta e per ora a piazza Vittorio c’è soprattutto voglia di festeggiare. Per sciogliere i nodi, nel caso, ci sarà tempo. Un ultimo appunto sulla piazza: FdI se la può permettere perché ha una leader che indubbiamente “buca”, non solo il video. Il Pd quanto ancora si dibatterà in leadership del grigiore di Franceschini, Gentiloni, Letta, Zingaretti, Zanda?

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