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Antonio Pilati

Il mio ricordo di Antonio Pilati, civil servant di grande rigore e finezza. Firmato: Sapelli

Pilati ci ha donato una lezione profonda di fedeltà al dovere degli intellettuali, che non devono tradire mai – se vogliono essere tali – il loro destino

 

Antonio Pilati ci ha lasciato con quella discrezione e quel riserbo nelle relazioni personali che erano la cifra della sprezzatura aristocratica tipica della sua esistenza.

Ma essa era solo il contrapposto di quella continua curiosità per le trasformazioni culturali, tecnologiche e politologiche che ha dato forma a tutta la sua vita.

Pilati rappresenta al meglio una generazione intellettuale che tiene ancora la barra con piglio sicuro e la schiena diritta mentre le ideologie si frantumano, gli irrazionalismi dilagano, la lotta dei nani alimenta lo scenario che diviene landscape e oscura i giganti della montagna che avevano nutrito la nostra gioventù, studiosa ma sempre irregolare.

I giganti della montagna: come gli autori che con gli amici di una vita Paolo Bassi e Pasquale Alferj ripubblicava con magistrale perizia ermeneutica ne Le due Rose Editore.

In quelle edizioni appare in questi giorni l’ultimo libro di Antonio. Paolo Bassi glielo ha consegnato negli ultimi chiarori della vita che lo ha abbandonato, circondato dall’amore e dalla cura degli affetti, e su cui gli amici rifletteranno e discuteranno come a lui piaceva nelle tavole rotonde della Fondazione Magna Carta che Gaetano Quagliariello animava appassionatamente.

Civil servant di grande rigore e finezza, Antonio ha unito sempre la necessità di creare nuove istituzioni in un mondo sempre vecchio dinanzi al dirompere tecnologico, alla radicalità di un nuovo costituzionalismo liberale tra politica ed economia.

Il libro che scrisse con Franco Debenedetti sulle vicende di una Rai che tanto lo avevano impegnato rendono manifesto come non dismise mai quell’ottimismo della volontà che ne aveva caratterizzato gli anni giovanili e che non lo aveva mai lasciato.

Antonio ci ha donato una lezione profonda di fedeltà al dovere degli intellettuali, che non devono tradire mai – se vogliono essere tali – il loro destino di una solitudine che il rumore delle piattaforme tecnologiche significanti non riesce a lenire. Quel rumore denso di significati Antonio lo studiò tutta una vita con risultati straordinari.

Egli sapeva che dietro ogni solitudine intellettuale resta perenne la comunità dei dotti a cui si appartiene sempre, se quel filo di rettitudine morale, che divide dalle masse e consente la perennità del lascito intellettuale, non si spezza.

Antonio: hai tessuto anche per noi quel filo.

I tuoi amici, anche io e Lodovico Festa, grazie al filo che hai tessuto, non saranno mai soli.

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