Spazzatura? Non c’è forse termine che meglio qualifichi la puntata di Report del 26 maggio sulla tragedia di Ustica.
E per di più spazzatura maleodorante, ricavata in larga parte dal rimestamento della discarica cui era stata destinata dalle poche ma solide verità, raggiunte a fatica sul disastro del 27 giugno 1980.
Una verifica dei fatti, un esercizio in cui siamo ormai maestri, smonterebbe punto per punto la puntata di Report, ma lo sminuzzamento dei fatti in miriadi di peculiari circostanze, farebbe perdere di vista la valutazione di insieme, quella che deve costituire motivo di preoccupazione e stimolare gli interventi ancora possibili.
Le certezze: quel velivolo è precipitato a causa di una bomba a bordo, collocata nella toilette posteriore.
Tutte le risultanze tecniche cui sono pervenuti i massimi esperti europei – all’unanimità – e confluite nella Relazione del collegio peritale Misiti non lasciano dubbi né spazio ad altra ipotesi. Chi oggi vuole confutare queste evidenze probatorie lo faccia pure, ma con esperti altrettanto credibili, non certo con le grossolane argomentazioni di un tecnico dell’Itavia pescato per l’occasione.
Il fatto quindi che sia stata una bomba a far precipitare il DC9 è motivo sufficiente, di per se stesso, per rimettere il materiale di Report nella discarica da cui proviene.
Andiamo avanti: la sentenza penale, pronunciata dalla Corte di Appello di Roma nel dicembre 2005 e confermata in Cassazione nel 2007, definisce la battaglia aerea, quella all’interno della quale sarebbe stato sparato il missile assassino, “la trama di un libro di spionaggio ma non un argomento degno di una pronuncia giudiziale” (pag 114) o “fantapolitica o romanzo che potrebbero anche risultare interessanti se non vi fossero coinvolte 81 vittime innocenti” (pag 116) e che “nell’ora e nel luogo del disastro non vi erano velivoli di alcun genere” (pag 115).
Questi i cardini dirimenti della vicenda giudiziaria dimenticati da Ranucci e che rendono inevitabili alcuni quesiti.
Come mai Daria Bonfietti, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime, anziché adoperarsi, come sarebbe logico e doveroso, per la ricerca della verità, fa di tutto da decenni per mistificarla, per occultarla? È questa una circostanza incomprensibile, che un giorno o l’altro Bonfietti dovrà chiarire; magari in contraddittorio, quello che lei ha sempre sistematicamente ed istericamente evitato.
Veniamo alla magistratura, quella romana, quella ancora attiva sul caso, quella in procinto di archiviare, mettendo una pietra tombale sulle residue, non inverosimili, possibilità di mettere le mani sugli attentatori, sui terroristi che misero quella bomba a bordo del DC9.
Con luci ed ombre, in estrema sintesi, il computo complessivo dell’ultra quarantennale operato della giustizia: al comportamento coraggioso, eticamente ineccepibile dei giudici penali, si è contrapposta l’istruttoria smontata impietosamente in giudizio di Rosario Priore ed ora la stessa musica viene reinterpretata dalla Procura romana.
La perla più recente: il Procuratore Capo Lo Voi, sollecitato da un esposto ad indagare su chi avesse collocato quella bomba nella toilette, ha assegnato il fascicolo ad Erminio Amelio, un sostituto procuratore che, a processo ancora aperto, aveva scritto un libro sostenendo la tesi della battaglia aerea. Ed ora chiede di archiviare il caso.
Le speranze residue sono che il GIP legga con attenzione le argomentazioni dell’opposizione, cogliendo così al volo l’inconsistenza della richiesta della Procura romana.
Infine la politica. Presidente Meloni, dove sei, verrebbe da dire.
Per quarantaquattro anni la sinistra, coesa questa volta in un campo largo letteralmente blindato, si è adoperata per insabbiare la verità, per coprire con il tempo e sistematicamente un gravissimo attentato, per evitare che gli autori di una strage venissero assicurati alla giustizia.
Questa è la verità, all’occorrenza la si potrebbe corredare con numerosi esempi; questo è il fondamento più solido per istituire senza indugio una commissione di inchiesta parlamentare, un provvedimento di fronte al quale la sinistra non potrebbe che tacere, per non aggravare ulteriormente la propria scellerata posizione.
Un ultimo pensiero: Ustica, una vicenda che conosco molto bene, è divenuta per me un metro di misura, una maniera oggettiva per discernere tra il buon giornalismo e quello al cieco servizio di una causa, giusta o sbagliata, costi quello che costi.
Su Sigfrido Ranucci avevo più che un sospetto su dove si collocasse, ora ne ho la certezza e le prove. Con buona pace del giornalismo investigativo e del pluralismo del servizio pubblico radiotelevisivo.