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Il Foglio s’offre alle piroette di Di Maio ma un po’ ne soffre

Dibattito al Foglio sulla piroetta di Luigi Di Maio sotto forma di lettera. I Graffi di Damato

 

Non a torto è stata generalmente considerata significativa la scelta del giornale fatta da Luigi Di Maio ancora una volta per lanciare le sue svolte all’interno e all’esterno del MoVimento 5 Stelle: non Il Fatto Quotidiano di Marco Travaglio, che ormai lo considera affetto dalla “sindrome di Stoccolma”, ma Il Foglio di Giuliano Ferrara fondatore e Claudio Cerasa direttore, il più lontano dall’altro sui temi della giustizia.

Tanto è giustizialista e manettaro il primo quanto è garantista il secondo, cui Di Maio deve avere pensato come al mezzo migliore per annunciare con la maggiore credibilità, e il maggiore aiuto possibile, il ripudio della lunga pratica della gogna dell’avversario politico, cavalcandone anche il più modesto dei problemi giudiziari. Come fu quello, ingigantito in piazza nel 2016, del sindaco di Lodi, il piddino Simone Uggetti, arrestato, costretto alle dimissioni e assolto in appello dopo cinque anni dall’accusa di turbativa d’asta perché “il fatto non sussiste”.

Il Foglio, che per sua fortuna vive più di citazioni che di copie, più letto nei palazzi che venduto nelle edicole, ce l’ha messa tutta per soddisfare le attese di Di Maio e ripagarlo della scelta. Quelle due colonne in prima, delle sei su cui si sviluppa il giornale, dedicate alla lettera di scuse di Di Maio a Uggetti e famiglia, con un titolo dipinto di rosso per attirare di più l’attenzione, parlavano da sole venerdì scorso. Come parlava da sola anche l’unica, modesta colonna dedicata il giorno dopo, sempre in prima pagina, ad un’altra lettera sullo stesso tema, scritta questa volta dal leader Matteo Salvini, chiamato in causa da Di Maio come partecipe della “disdicevole gogna” riservata a Uggetti nel contesto di una campagna elettorale amministrativa cui erano interessate vaste zone del Paese, e si giocava quindi una grossa partita.

Eppure il leader leghista, definito abitualmente “truce” da Giuliano Ferrara e collaboratori, oltre a condividere le scuse chieste da Di Maio, precisando anzi di averlo preceduto con l’interessato senza vantarsene, ha posto sul piatto del dibattito politico una posta ancora più grossa della svolta verbale del ministro degli Esteri: la messa in prova dell’autenticità di questa svolta partecipando alle campagne referendarie in allestimento con i radicali sui temi della giustizia, utili anche a stimolare i partiti dormienti.

Eppure la proposta di verifica della svolta di Di Maio avanzata da Salvini, per quanto considerata nella titolazione la metà del valore dell’altra, non mi sembra per niente in contrasto con la prudente e breve risposta di Cerasa ad una lettera di quasi entusiasmo del solito, immancabile Goffredo Bettini sulla sortita del ministro degli Esteri. “E’ una svolta – ha scritto il direttore del Foglio – che dovrà essere misurata sui fatti. E il primo sarà l’approvazione in Parlamento di una riforma che permetta all’Italia di superare la stagione della gogna a vita imboccata due anni fa con la prescrizione modello Bonafede”.

Non meno prudenti, se non diffidenti, del direttore Cerasa sono stati sul Foglio Carmelo Caruso irridendo, praticamente, sui grillini così disinvoltamente passati “da Robespierre a Cesare Beccaria” e Salvatore Merlo dilungandosi sul tema dell’”arte di scusarsi”, più per “furbizia” che altro. Non so a questo punto se Di Maio stia più stretto o più largo al giornale considerato a lungo come una bandiera del garantismo.

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