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Sanremo Giorno Ricordo

Il filo della speranza che lega Sanremo e il Giorno del ricordo

Il corsivo di Battista Falconi

 

C’è un filo che lega il Festival di Sanremo e la commemorazione di Foibe e profughi istriani, giuliani e dalmati, meno sottile di quanto sembri. Il martirio degli innocenti, uccisi solo per il fatto di essere italiani, esattamente da vent’anni è omaggiato ogni 10 febbraio con un Giorno del ricordo, grazie a una legge ad hoc. Absit iniuria verbis, anche il Festival della canzone italiana è un grande momento di celebrazione della nostra identità in forma di musica e spettacolo, che a ciascuna edizione si concretizza con un brano, una gaffe, una polemica, mentre nel corso del tempo si dipana come un “eterno ritorno”, per dirla con le parole nicciane e di Mircea Eliade.

Sanremo e il Giorno parlano entrambi al grande pubblico e al cuore delle persone, senza necessariamente produrre azioni pratiche e contenuti normativi, quelli aridamente partoriti dal cervello, secondo la nostra stereotipata distinzione organica. E forse possiamo azzardare un ulteriore parallelo.

Durante la commemorazione di esuli e infoibati Giorgia Meloni ha tenuto uno dei discorsi più intensi dal suo insediamento, commovente se si pensa non solo all’orrore subito dai nostri connazionali, uccisi o costretti alla fuga dalla ferocia comunista, ma soprattutto al muro di indifferenza e ostilità che ha resistito per decenni e di cui qualche intellettuale ancora prova e recuperare i mattoni. Il capo del governo ha citato Giuseppe Mazzini, il concetto di patria come appartenenza del cuore, per esaltare la forza degli italiani che furono tali per nascita ma ancor più per scelta. E ha citato alcune storie individuali quasi indicibili, come quella dell’ebreo sopravvissuto ai campi ma non alla ferocia titina o come il sacerdote, martire non della ferocia pagana dell’Impero romano ma dell’indifferenza opportunista dell’ultimo dopoguerra, che durante l’espatrio ha diviso in tre una bandiera tricolore, ricomponendola in Italia e volendola sul petto al momento della sepoltura.

Un sedicesimo, una parte infinitesimale di quella forza del sentimento che diventa scelta di vita, l’abbiamo avvertito al Festival il venerdì, con la serata di cover e duetti, durante l’esibizione di Ghali, che ha pronunciato con grande pathos il verso di Toto Cutugno “sono un italiano vero”, inanellandolo con il suo “Oh eh oh, quando mi dicono: quando mi dicon ‘Va’ a casa!’ / Oh eh oh, rispondo: Sono già qua”. Un “italiano nero vero”, per usare un facile gioco di parole. Discorso certo complesso, quello degli italiani di seconda generazione, così come quello dei fratricidi e genocidi della Seconda guerra mondiale, del dopoguerra e delle guerre di oggi. Ma ogni tanto contentiamoci di una frase o di una strofa ben scritta, ben detta o ben cantata per coltivare la speranza che una patria italiana del cuore possa esserci. Almeno un filo di speranza.

Peraltro, l’abbiamo già accennato a proposito di Marco Mengoni, il venerdì sanremese riconcilia con la Rai, con il formato dello show televisivo e con la produzione musicale contemporanea, mostrando cantanti e rapper che affrontano brani classici capaci di “sbloccare un ricordo”, assieme a protagonisti dell’epoca (memorabile l’omaggio a Pino D’Angiò) oppure in coppia con loro coetanei: coreografie azzeccate, voci intonate… Nello show-biz pubblico qualcosa ancora si può fare, non tutto è perduto.

Per il resto, Sanremo mette mano al portafoglio dei sentimenti con efficacia altalenante, vittima inevitabile dell’imperante cultura del like e dell’outing della sfiga e della malattia, in cui si mescolano pulsioni e azioni diverse. Se una contenuta esibizione dello stato di salute da parte del personaggio pubblico può avere un senso spettacolare e morale, come quando sul palco si è visto Giovanni Allevi, l’incoronazione del malato celebre a maestro di vita e di cura è pericolosa. Lo dimostra il confuso coming out di Carlo d’Inghilterra: si sconsiglia vivamente di affrontare il cancro con terapie alternative alla pur limitatissima medicina oncologica tradizionale.

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