Va bene che siamo a Carnevale e, come dice un vecchio proverbio, ogni scherzo vale. Ma questa volta non si sa neppure di che cosa ridere di più leggendo le cronache politiche o, se vogliamo essere più completi, quelle di politica e di giudiziaria insieme: un fritto misto servito ormai da tanti anni ai lettori. Che ormai per sapere e capire quanto la giustizia si sia politicizzata, o la politica si sia lasciata espropriare dalla magistratura, non hanno francamente bisogno della commissione parlamentare d’inchiesta fatta riproporre da Berlusconi dopo l’ennesima assoluzione, e in pendenza ancora di altri processi o indagini, fra le resistenze, i dubbi e quant’altro anche dei suoi alleati. Fra i quali non mi sembra francamente che abbiano torto quanti considerano la solita commissione parlamentare d’indagine ormai pleonastica, dopo tutto quello che si è visto e compreso abbastanza bene.
Di Carnevale ha scelto da tempo di riprendere i suoi spettacoli in teatro l’ineffabile Beppe Grillo. Che, già confessatosi di suo “il peggiore” nel titolo della nuova serie delle sue esibizioni professionali di comico, in un altro attimo di irrefrenabile sincerità autocritica ha chiesto al suo pubblico quanti danni egli abbia procurato all’Italia inventandosi il Movimento 5 Stelle, portandolo addirittura al posto che fu per tanto tempo della Dc e infine affidandone, più meno rassegnato, la gestione ad un avvocato e professore di diritto quasi sconosciuto sino a cinque anni fa. Che, arrivato per caso a Palazzo Chigi, vi è rimasto in due edizioni che solo un finalmente stanco e perplesso Sergio Mattarella, più ancora di Matteo Renzi che se ne attribuisce il merito, ha evitato che diventassero tre. E non credo proprio, pur con tutta la imprevedibilità della politica, che una terza edizione possa più maturare.
Ha un po’ un sapore felliniano – sperando che Fellini dall’aldilà non si offenda – quella “solitudine del satiro” annunciata dal Fatto Quotidiano riferendo dello spettacolo di Grillo a Orvieto, del pubblico che vi è accorso, della “corte in declino” del tuttora garante del MoVimento 5 Stelle e della cena da lui consumata poi con Conte e Travaglio. Che, generosi come era difficile immaginare sino a qualche tempo fa, hanno perdonato al loro amico di avere spinto a suo tempo il partito nelle braccia di quella sciagura che secondo loro sarebbe stato – altro che risorsa – l’ex presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi, rischiando addirittura di farlo arrivare anche al Quirinale non bastandogli Palazzo Chigi. Da allora, cioè dal “Conticidio” raccontato da Travaglio anche in un giallo, sarebbero derivati tutti i guai sopra e sotto le cinque stelle.
Ma non meno comico è lo spettacolo offerto in questi giorni dal Pd, e relative correnti e candidati alla segreteria, litigando su chi non parla abbastanza male di Giorgia Meloni a Palazzo Chigi, o ne parli addirittura non dico bene, ma benino. O non ne parli proprio.